A causa della confusione delle norme, la cancellazione delle province si sta rivelando un dramma. Per gli oltre 20 mila dipendenti da ricollocare. Ma soprattutto per i servizi di prima necessità che nessuno più assicura
Servizi sospesi, assistenza ai disabili cancellata, manutenzione delle strade bloccate, assunzioni congelate, trasferimenti di personale impossibili per via di norme contraddittorie e inattuabili. Dopo l’abolizione, il mondo delle Province è in subbuglio, piombato nel caos e nell’emergenza finanziaria a causa delle norme contraddittorie che tra legge di Stabilità e la riforma di Graziano Delrio avrebbero dovuto regolare la riorganizzazione delle funzioni e il ricollocamento del personale. Mentre il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia cinguetta messaggi rassicuranti, sulla rete impazza l’hashtag disperato #achicompetela cultura, lanciato dai dipendenti senza più un ruolo dopo che le competenze su biblioteche, orchestre, musei e tutto il resto sono state tolte alle province ma non ancora riassegnante. Nessuna sorpresa dunque se la rabbia dei dipendenti esplode. Manifestazioni, proteste, cortei e da due settimane persino uno sciopero della fame a turnazione che coinvolge tutta la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia, all’insegna dello slogan “impiegati di tutta Italia, unitevi!”. Una situazione esplosiva come questo breve viaggio in alcune delle province italiane dimostra.
DIPENDENTI ALLA FAME A Torino due settimane fa gli impiegati della Provincia erano talmente esasperati che i loro rappresentanti sindacali hanno indetto uno sciopero della fame sostenuti anche dall’arcivescovo Cesare Nosiglia. Protestano contro la decisione di non prorogare per un anno il contratto di lavoro di 22 precari, in servizio da 10 anni. Nelle more del passaggio da Provincia a città metropolitana, il sindaco Piero Fassino ha preferito rispettare le disposizioni sullo sforamento del patto di stabilità, piuttosto che mantenere al lavoro i 22. Morale: tutti senza impiego. Non così il suo collega di Milano Giuliano Pisapia, che invece ha riassorbito i 55 precari della “sua” Provincia. La battaglia di Torino si è comunque allargata a macchia d’olio a tutta la Penisola: dopo la prima settimana sono entrati in sciopero della fame i rappresentanti della provincia di Firenze, da venerdì 23 gennaio quelli di Milano, seguirà a ruota Pistoia, poi Padova, quindi Brindisi. Una valanga che potrebbe arrivare a sommergere anche i palazzi ovattati della capitale. “La ministra Madia rassicura, ma in prospettiva ci sono circa 20.000 lavoratori da ricollocare entro il 2019 – spiega Francesco Candido, rappresentante Cgil della Provincia di Torino – Ma già entro il 2017 chi non avrà trovato un posto avrà lo stipendio ridotto all’80%, chi non sarà poi riassorbito entro aprile 2019 verrà di fatto licenziato”.
FUORI STRADA Sempre a Torino il comune ha bisogno di educatori per gli asili nido e le materne. E’ pronto a emettere un bando, ma non sa bene come scriverlo: da un lato deve dare la precedenza ai dipendenti provinciali da ricollocare; dall’altro c’è il problema che tra questi lavoratori non ci sono gli educatori che il comune cerca. Risultato: bando sospeso e nidi senza educatori e con il sindaco Fassino in attesa di lumi sul da farsi. Dagli asili ai trasporti, stavolta con il blocco di una strada provinciale. Si chiama strada Giaglione e collega l’Italia con la Francia attraverso il valico del Moncenisio. Un’arteria internazionale, quindi. Le piogge d’autunno hanno provocato una frana, rendendo inagibile l’arteria. Una volta a rimediare ci avrebbe pensato la provincia, tradizionale custode delle strade. Solo che, dopo l’abolizione e il taglio delle risorse non si sa chi e come debba fare l’intervento. Alla città metropolitana di Torino non è rimasto altro da fare che chiuderla e invitare gli automobilisti a seguire un percorso più lungo, con spreco di tempo e denaro. E con uno pesante sospetto sull’andazzo: “Temiamo che ci sia un disegno preciso– aggiunge Candido – quello di affidare ai privati al gestione della manutenzione stradale e quella dell’edilizia scolastica, altro capitolo importante dei vecchi compiti delle Province”. Motori spenti a Cuneo, dove per mettere insieme i risparmi imposti dalla legge di Stabilità, molti automezzi sono stati bloccati nei garage. “Non ci resta che confidare in un inverno mite – spiega il sindacalista Valter Giordano- perché non abbiamo le risorse per assicurare lo sgombero della neve, così come non possiamo garantire gli interventi di manutenzione necessari”.
OLTRE IL RUBICONE Si scende la penisola ma la situazione non cambia, neanche oltrepassando il Rubicone. A Pesaro e Urbino il presidente è stato costretto a sospendere il servizio di educazione pomeridiana ai disabili perché per la legge Delrio quella funzione dovrà essere trasferita. Spariti anche i 375 mila euro annui di cui la Provincia disponeva e necessari per svolgere il compito. Purtroppo, anche in questo caso, né Regione, né comuni sono intervenuti per coprire il vuoto. E’ così che 78 minori (e rispettive famiglie) sono rimasti praticamente abbandonati. Ed è solo uno dei casi tra i tanti. Perché continuando a scendere verso il sud la mappa del disagio si allarga. Ancora due casi emblematici. Riguardano Brindisi e Lecce.
PROVE D’ORCHESTRA A Brindisi c’è molta preoccupazione per via della mancata assegnazione delle funzioni di protezione civile, anch’esse assegnate fino allo scorso anno alla provincia. Adesso non si sa chi deve occuparsene. Eppure i problemi non mancano: “Da noi arrivano naufraghi e profughi dal nord Africa – spiega infatti la sindacalista Evy Galiano – chi se ne deve occupare?”. Un vero disastro anche per la cultura. Biblioteche, musei, orchestre si ritrovano senza un’amministrazione di riferimento. Dal primo gennaio di quest’anno dovrebbero dipendere da Regioni e Comuni, ma in pochissimi si sono adeguati. Il risultato è che molte strutture rischiano la chiusura: dai servizi ai cittadini e ai turisti alla tutela del patrimonio culturale del Paese. La situazione è talmente allarmante che i dipendenti delle strutture interessate hanno aperto la pagina facebook “achicompete lacultura” ed hanno lanciato l’hashtag, con il quale comunicano le ultime novità, con un appello per salvare operatori e servizi. A Lecce invece si sono mobilitati i musicisti dell’orchestra Tito Schipa, rimasta senza finanziatori dopo la chiusura del canale provinciale. I 60 orchestrali, sostenuti dal presidente Antonio Gabellone, hanno lanciato la campagna “save the orchestra”, una raccolta fondi per riuscire a finanziarsi e presentare entro fine gennaio un programma al ministero della Cultura. Sinora, sono stati raccolti 6.636 euro. Troppo pochi per sopravvivere.
di Bianca Di Giovanni