Se siete abituati a navigare dall’Italia probabilmente non avete mai sentito parlare di vpn. Si tratta dell’acronimo di virtual private network ed è un servizio che cripta e reindirizza il traffico internet. Ad esempio. Sto scrivendo da Pechino, ma risulto connessa da Hong Kong dove il grande firewall cinese (così gli internauti hanno soprannominato la grande muraglia censoria che li separa dal resto del mondo internet) non è ancora arrivato.
Da giugno scorso, i controlli su media e social media si sono fatti più frequenti e efficaci. A seguito delle proteste di Hong Kong, la stretta del governo su internet si è fatta sempre più pesante. Instagram e Google sono stati bloccati completamente, Gmail non funziona più da dicembre. Da ottobre le autorità hanno lanciato ripetuti attacchi contro Yahoo, Google, Microsoft e Apple. Nello stesso periodo una campagna mediatica ha reso i cittadini cinesi sempre più sospettosi sull’utilizzo dei servizi internet offerti da aziende straniere. L’attacco più recente ha colpito i servizi di vpn, quelli che appunto ci permettono di “bucare” l’intranet cinese per accedere a siti e applicazioni altrimenti bloccati sul territorio della Rpc.
Ironicamente, mentre il governo vieta a un miliardo e 300 milioni di cittadini di accedere a Facebook e Twitter, i grandi media di stato come l’agenzia di stampa Xinhua, la televisione Cctv e i giornali in lingua inglese China Daily e Global Times hanno lanciato i loro account ufficiali su questi stessi social media. Il loro compito è quello di comunicare meglio al resto del mondo l’implacabile ascesa di quella che si appresta a divenire la prima economia mondiale. All’imperatore è concesso quello che è negato ai sudditi: far sentire la propria voce in Occidente. Ma non è su quest’ennesima contraddizione cinese che mi voglio soffermare. Il blocco delle vpn, che al momento si limita ad alcune di quelle straniere, rende sempre più evidente un punto: la censura cinese non è qualcosa che riguarda solo la diffusione delle informazioni.
La maggior parte dei ragazzi cinesi usa la vpn per ragioni che non hanno nulla a che fare con la politica. Vogliono connettersi con i loro amici nel resto del mondo su Facebook o seguire le star di Hollywood su Instagram. E anche gli stranieri che vivono e lavorano in Cina usano le vpn soprattutto per accedere a servizi di scambio file, ai client di posta elettronica o per pubblicizzare le loro aziende sui social media. Bloccando gli strumenti che permettono di “bucare” il grande firewall di fatto le autorità costringono sempre più persone ad affidarsi ai servizi di aziende “made in China”. Favoriscono così lo sviluppo di social network, motori di ricerca, client di mail cinesi che, oltre a essere più controllati, possono contare sul primo risultato delle politiche governative sul controllo di internet. Una posizione dominante su un mercato di 650 milioni di internauti. Dalla prospettiva di Zhongnanhai, le persone incaricate di creare il sistema di filtri per l’internet cinese devono essere dei geni.