Ho l’impressione che in Europa, o almeno in Italia, non sia stata percepita l’importanza di un riavvicinamento tra la più forte (ancora per quanto?) superpotenza del mondo e la più popolosa democrazia del globo. C’è da eleggere un Presidente della Repubblica, da noi, e l’attenzione è come sempre prevalentemente assorbita dalla politica interna, in questo caso per un motivo più serio del solito.
Eppure questo viaggio da poco concluso di Barack Obama in India ha un significato geopolitico di cui vedremo i risultati nei prossimi due anni. Certo, Obama è arrivato qui con tutto il suo seducente charme danzante. Ha emozionato con qualche battuta e sorriso. Ha scosso l’India ricordando figure importanti, l’influenza di Gandhi su Martin Luther King, il ruolo del guru Vivekananda e lo yoga in America, ma soprattutto, con un discorso che ricordava i punti in comune tra la più antica democrazia moderna e la più numerosa, ha ricordato che il nipote di un cuoco, cresciuto alle Hawaii, e il figlio di un venditore di thè, si trovano ora a capo di queste nazioni.
Gli americani, così come i “nuovi” indiani, apprezzano questa storia dalle stalle alle stelle. Sono segni tangibili di un progresso sociale giusto e indispensabile, per quanto tardivo e ancora lento in India. Poi, a ben scrutare queste “democrazie rispettose dei diritti civili,” magari si scoprono i massacri di mussulmani in Gujarat nel 2002 (stato all’epoca governato da Modi stesso), le guerre in Kashmir, i ribelli naxaliti, e gli innocenti civili provenienti dagli stati Nordorientali che vengono uccisi per le strade di Delhi per la forma dei loro occhi “troppo da cinesi.” Mentre in America i fuochi di Ferguson, di New York e del Missouri bruciano ancora, illuminando ineguaglianze sociali e razzismi non degni della tradizione democratica sognata dai padri fondatori.
Sicuramente qualche affare si è concluso in questa visita. Si è deciso quasi definitivamente di limitare la responsabilità delle società straniere fornitrici di materiale per le centrali nucleari indiane. Se dopo l’imminente sviluppo di nuove centrali ci sarà un’altra Fukushima (nella nazione che ancora ricorda Bhopal), ora un fondo comune di assicurazione pagherà i danni, senza responsabilità penali. Ma Obama ha promesso 4 miliardi di dollari in investimenti. Ok, thank you, ma il Giappone ne ha promessi 35 di miliardi.
Però la promessa di partecipare al risveglio della New India c’è. L’economia indiana è un quinto di quella cinese. Gli Stati Uniti vogliono contribuire a portare l’India a un Pil che sia un terzo di quello della Cina. E promettono di spingere la candidatura indiana al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (per quel che ancora conta quest’istituzione).
Investimenti, partnership, sventolamenti di slogan come “Make in India” che si può tradurre con: “venite a produrre qui.” Ma intanto il materiale per le centrali sarà “Made in Usa”.
Barak Obama fa la sua lezioncina prima di volare al funerale del principe saudita. “Avrete successo se non vi dividerete,” ammonisce forse proprio per le accuse di islamofobia mosse a Modi dalla lobby mussulmana. “L’articolo 25 garantisce la libertà di culto”, ricorda forse anche in difesa dei cristiani. Ma forse in tutto questo dimentica che la costituzione qui è quella di una Repubblica Socialista, dettaglio che nella nuova India di Modi tutti sembrano voler dimenticare. Questa Repubblica Socialista era il faro delle nazioni non-allineate . Ricordate la Yugoslavia, l’Albania…non erano né con la Russia né con gli Usa. Ma per decenni l’India è stata ben più vicina all’Urss che non agli Usa.
Ma ora è la Cina che minaccia. Spinge lassù a nord con qualche sconfinamento nell’Himalaya. Pattuglia i mari, finanzia porti nello Sri Lanka, si assicura “accessi al mare” ovunque per le esportazioni e per importare materie prime, accerchia l’India costruendo sodalizi anche sulle coste del Pakistan: lenta, tranquilla, decisa. Ed è per questo che l’inchino a Obama farà riverberare l’aria fino a Pechino, dove la vittoria di Modi, un indiano che fino all’anno scorso era persona non grata negli Stati Uniti proprio per i massacri del 2002, aveva fatto sperare tutt’altro esito diplomatico che non Barack Obama (B.O.) a braccetto con Modi (MO). Bo & Mo, così li hanno soprannominati i media indiani.
Si abbracciano all’aeroporto. Si amano. Si piacciono. Anche se Obama tra gli abbracci non si è accorto di quel “Narendra Damodardas Modi” iscritto nell’abito blu del suo nuovo amico, ben nascosto tra le righe bianche del suo gessato più da sbruffone bauscia brianzolo, che non da leader noto per l’eleganza indù.
Ma c’è qualcosa di vero in quell’abbraccio tra un conservatore nazionalista indù ammiccante al libero mercato e al big business e quel presidente Democrat che si è comunque battuto per un Medicare (per quanto indebolito e contestato) che un Repubblicano non avrebbe mai difeso. Nell’abbraccio tra Bo & Mo c’è la fine di un antico anti-americanismo che questa volta non ha tirato fuori nessun fantoccio dello zio Sam da bruciare. Perché questa volta si è rinfocolato un “guardare all’America” che già era nato nel furore della “New India” che qualche rallentamento economico ha reso non più così “New”.
È un segnale al mondo degli affari che dice questo: tra India e America, d’ora in poi, ci saranno consultazioni ad alto livello, ci si parlerà prima che si sviluppino le crisi, si risolveranno i guai in privato non con le indiscrezioni ai media. Sembra poco, ma per chi deve muovere milioni di investimenti vale più di una garanzia. L’obiettivo è far crescere l’India oltre il 7 per cento all’anno. E far guadagnare soldi a tutti. Quelli che già ne hanno tanti, naturalmente.
“La Russia è un bullo”, ha detto Obama, causando forse qualche difficoltà tra Delhi e Mosca. E il ruolo dell’India in quella che il presidente americano chiama l’“Asia Pacific” è importante perché “la libertà di navigazione sia garantita e le dispute risolte pacificamente”. Forse l’Europa potrebbe alzare la mano e ricordare i marò, in questo contesto. Ma tutti pensano subito allo Sri Lanka e a Burma dove Pechino investe per ampliare la sua influenza.
Nel gioco a scacchi che si sviluppa attorno all’Oceano Indiano e all’Oceano Pacifico, Barack Obama ha appena portato qualche nuovo pezzo. Vedremo a breve con quali reazioni e quali risultati.
Carlo Pizzati
Scrittore e docente di teoria della comunicazione
Mondo - 30 Gennaio 2015
India, Bo & Mo a braccetto contro Russia e Cina
Ho l’impressione che in Europa, o almeno in Italia, non sia stata percepita l’importanza di un riavvicinamento tra la più forte (ancora per quanto?) superpotenza del mondo e la più popolosa democrazia del globo. C’è da eleggere un Presidente della Repubblica, da noi, e l’attenzione è come sempre prevalentemente assorbita dalla politica interna, in questo caso per un motivo più serio del solito.
Eppure questo viaggio da poco concluso di Barack Obama in India ha un significato geopolitico di cui vedremo i risultati nei prossimi due anni. Certo, Obama è arrivato qui con tutto il suo seducente charme danzante. Ha emozionato con qualche battuta e sorriso. Ha scosso l’India ricordando figure importanti, l’influenza di Gandhi su Martin Luther King, il ruolo del guru Vivekananda e lo yoga in America, ma soprattutto, con un discorso che ricordava i punti in comune tra la più antica democrazia moderna e la più numerosa, ha ricordato che il nipote di un cuoco, cresciuto alle Hawaii, e il figlio di un venditore di thè, si trovano ora a capo di queste nazioni.
Gli americani, così come i “nuovi” indiani, apprezzano questa storia dalle stalle alle stelle. Sono segni tangibili di un progresso sociale giusto e indispensabile, per quanto tardivo e ancora lento in India. Poi, a ben scrutare queste “democrazie rispettose dei diritti civili,” magari si scoprono i massacri di mussulmani in Gujarat nel 2002 (stato all’epoca governato da Modi stesso), le guerre in Kashmir, i ribelli naxaliti, e gli innocenti civili provenienti dagli stati Nordorientali che vengono uccisi per le strade di Delhi per la forma dei loro occhi “troppo da cinesi.” Mentre in America i fuochi di Ferguson, di New York e del Missouri bruciano ancora, illuminando ineguaglianze sociali e razzismi non degni della tradizione democratica sognata dai padri fondatori.
Sicuramente qualche affare si è concluso in questa visita. Si è deciso quasi definitivamente di limitare la responsabilità delle società straniere fornitrici di materiale per le centrali nucleari indiane. Se dopo l’imminente sviluppo di nuove centrali ci sarà un’altra Fukushima (nella nazione che ancora ricorda Bhopal), ora un fondo comune di assicurazione pagherà i danni, senza responsabilità penali. Ma Obama ha promesso 4 miliardi di dollari in investimenti. Ok, thank you, ma il Giappone ne ha promessi 35 di miliardi.
Però la promessa di partecipare al risveglio della New India c’è. L’economia indiana è un quinto di quella cinese. Gli Stati Uniti vogliono contribuire a portare l’India a un Pil che sia un terzo di quello della Cina. E promettono di spingere la candidatura indiana al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (per quel che ancora conta quest’istituzione).
Investimenti, partnership, sventolamenti di slogan come “Make in India” che si può tradurre con: “venite a produrre qui.” Ma intanto il materiale per le centrali sarà “Made in Usa”.
Barak Obama fa la sua lezioncina prima di volare al funerale del principe saudita. “Avrete successo se non vi dividerete,” ammonisce forse proprio per le accuse di islamofobia mosse a Modi dalla lobby mussulmana. “L’articolo 25 garantisce la libertà di culto”, ricorda forse anche in difesa dei cristiani. Ma forse in tutto questo dimentica che la costituzione qui è quella di una Repubblica Socialista, dettaglio che nella nuova India di Modi tutti sembrano voler dimenticare. Questa Repubblica Socialista era il faro delle nazioni non-allineate . Ricordate la Yugoslavia, l’Albania…non erano né con la Russia né con gli Usa. Ma per decenni l’India è stata ben più vicina all’Urss che non agli Usa.
Ma ora è la Cina che minaccia. Spinge lassù a nord con qualche sconfinamento nell’Himalaya. Pattuglia i mari, finanzia porti nello Sri Lanka, si assicura “accessi al mare” ovunque per le esportazioni e per importare materie prime, accerchia l’India costruendo sodalizi anche sulle coste del Pakistan: lenta, tranquilla, decisa. Ed è per questo che l’inchino a Obama farà riverberare l’aria fino a Pechino, dove la vittoria di Modi, un indiano che fino all’anno scorso era persona non grata negli Stati Uniti proprio per i massacri del 2002, aveva fatto sperare tutt’altro esito diplomatico che non Barack Obama (B.O.) a braccetto con Modi (MO). Bo & Mo, così li hanno soprannominati i media indiani.
Si abbracciano all’aeroporto. Si amano. Si piacciono. Anche se Obama tra gli abbracci non si è accorto di quel “Narendra Damodardas Modi” iscritto nell’abito blu del suo nuovo amico, ben nascosto tra le righe bianche del suo gessato più da sbruffone bauscia brianzolo, che non da leader noto per l’eleganza indù.
Ma c’è qualcosa di vero in quell’abbraccio tra un conservatore nazionalista indù ammiccante al libero mercato e al big business e quel presidente Democrat che si è comunque battuto per un Medicare (per quanto indebolito e contestato) che un Repubblicano non avrebbe mai difeso. Nell’abbraccio tra Bo & Mo c’è la fine di un antico anti-americanismo che questa volta non ha tirato fuori nessun fantoccio dello zio Sam da bruciare. Perché questa volta si è rinfocolato un “guardare all’America” che già era nato nel furore della “New India” che qualche rallentamento economico ha reso non più così “New”.
È un segnale al mondo degli affari che dice questo: tra India e America, d’ora in poi, ci saranno consultazioni ad alto livello, ci si parlerà prima che si sviluppino le crisi, si risolveranno i guai in privato non con le indiscrezioni ai media. Sembra poco, ma per chi deve muovere milioni di investimenti vale più di una garanzia. L’obiettivo è far crescere l’India oltre il 7 per cento all’anno. E far guadagnare soldi a tutti. Quelli che già ne hanno tanti, naturalmente.
“La Russia è un bullo”, ha detto Obama, causando forse qualche difficoltà tra Delhi e Mosca. E il ruolo dell’India in quella che il presidente americano chiama l’“Asia Pacific” è importante perché “la libertà di navigazione sia garantita e le dispute risolte pacificamente”. Forse l’Europa potrebbe alzare la mano e ricordare i marò, in questo contesto. Ma tutti pensano subito allo Sri Lanka e a Burma dove Pechino investe per ampliare la sua influenza.
Nel gioco a scacchi che si sviluppa attorno all’Oceano Indiano e all’Oceano Pacifico, Barack Obama ha appena portato qualche nuovo pezzo. Vedremo a breve con quali reazioni e quali risultati.
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Whashington, 3 mar. (Adnkronos) - Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump risponde alle critiche per la sua crescente vicinanza alla Russia sulla questione dell'Ucraina, affermando che gli Stati Uniti dovrebbero preoccuparsi "meno" di Vladimir Putin. "Dovremmo dedicare meno tempo a preoccuparci di Putin e più tempo a preoccuparci delle bande di migranti che stuprano, dei signori della droga, degli assassini e delle persone provenienti dagli istituti psichiatrici che entrano nel nostro Paese, così non finiremo come l'Europa!", scrive Trump sulla sua piattaforma Truth Social.
Roma, 2 mar. (Adnkronos) - La capitale si prepara ad accogliere il ‘Resp Festival’, un evento innovativo che promette di trasformare Ariccia in un epicentro di suoni, luci e performance artistiche. Organizzato dal gruppo 06, il Festival si terrà presso il nuovo mega club ‘Factory46’, una struttura di 2.000 mq, (in Via Quarto Negroni 46, Ariccia), dotata di impianto audio all’avanguardia, giardino e zona food. L’evento si svolgerà dal 15 marzo per cinque sabati consecutivi, offrendo un’esperienza sensoriale unica, e rappresentando un nuovo capitolo nella scena della musica elettronica di Roma, portando con sé una ventata di innovazione e sperimentazione.
Il Resp Festival vanta un cartellone con 20 Dj internazionali e italiani, che si esibiranno ogni sabato dalle 23:00 alle 5:00, in un mix di performance dal vivo, spettacoli laser e led wall mozzafiato. Il primo sabato, 15 marzo, vedrà la partecipazione della star internazionale Pablo Say dalla Spagna, insieme alla talentuosa Debora Savasto e Katoff dall’Inghilterra. Tra gli altri protagonisti ci saranno Manuel Le Saux e Sygma, DJ e producer resident del festival. I tanti artisti porteranno sul palco una varietà di stili e influenze, creando un’esperienza sonora unica e coinvolgente.
“Siamo incredibilmente entusiasti di presentare il Resp Festival. Questo evento rappresenta un’opportunità unica per esplorare nuove frontiere della musica elettronica e delle arti visive. Miriamo a creare un’esperienza dinamica e coinvolgente per tutti i partecipanti. Abbiamo lavorato duramente per portare artisti di fama internazionale e talenti emergenti, creando un programma che celebra la diversità e l’innovazione. Non vediamo l’ora di condividere questa avventura con il nostro pubblico e di vedere come il Festival contribuirà a far crescere la scena culturale romana e non solo”, ha spiegato Sergio Serafini, organizzatore del Resp Festival e fondatore del gruppo 06.
Dopo l’inaugurazione del 15 marzo, si prosegue sabato 22 marzo con un evento misterioso e imperdibile, ‘Top Secret’. Poi sabato 29 marzo, si terrà una serata dedicata alle donne DJ, con la partecipazione di Alessandra Roncone, Las Mellizas, Francesca Fagiani, Kalhea e Consuelo. Sabato 5 aprile, sarà ‘La notte House of Vibe’ con il leggendario Joe T. Vannelli e Kristine.
Mentre sabato 12 aprile ci sarà il gran finale con la crew dell’Insomnia Discoacropoli d’Italia di Pisa, guidata dal fondatore Antonio Velasquez e DJ come Gabry Fasano, Alessandro Tognetti, Antonio Marki, Sandro Vibot e Riccardo Brush. Il Resp Festival non è solo un evento musicale, ma anche un’occasione per esplorare nuove forme di espressione artistica e per abbattere le barriere, connettendo presente e futuro, radici e prospettive. Inoltre il Festival si propone come un punto di incontro per artisti e pubblico, promuovendo la condivisione, il movimento e l’ascolto.
Il festival è accessibile con un unico biglietto Full Pass da € 69,90 per tutte le cinque serate, acquistabile online su Xceed. Non manca anche l’aspetto della solidarietà e della cultura. In collaborazione con Admo (Associazione Donatori Midollo Osseo), il Festival avrà anche una componente solidale, con l’obiettivo di sensibilizzare e promuovere il valore del dono del midollo osseo. Ogni serata vedrà anche la presentazione di libri da parte di giovani scrittori emergenti. Inoltre il festival sarà molto attento anche alla sicurezza e garantirà un’esperienza senza preoccupazioni, grazie ai servizi navetta gratuiti per raggiungere la location in totale tranquillità.
Milano, 2 mar. (Adnkronos) - Altra sconfitta per il Milan di Conceicao con una diretta concorrente per l'Europa. Dopo il ko con il Bologna nel recupero, i rossoneri escono sconfitti da San Siro anche con la Lazio, per 2-1 in una gara folle, decisa al 98' da un calcio di rigore realizzato da Pedro, dopo che Chukwueze aveva riportato in parità la sfida pareggiando il gol di Zaccagni, con i rossoneri in dieci uomini per l'espulsione di Pavlovic. I rossoneri scivolano così in nona posizione, superati anche dalla Roma, mentre la Lazio sale a 50 punti e si riprende la quarta posizione, ai anni della Juventus impegnata domani con il Verona, e si avvicina all'Atalanta terza a 55 punti.
Conceiçao per la sfida interna, con la Curva che è entrata a gara iniziata per protesta, conferma nove undicesimi della formazione scesa in campo dal 1' contro il Bologna. Inserisce Gabbia al posto di Thiaw al centro della difesa e Pulisic per Joao Felix nel tridente offensivo con Leao e Reijnders alle spalle di Gimenez. In mezzo al campo Musah e Fofana, sugli esterni Jimenez a destra con Theo Hernandez a sinistra. Baroni, invece, deve rinunciare a Castellanos e Romagnoli e in difesa schiera Gila con Gigot davanti a Provedel. Sugli esterni Marusic e Nuno Tavares, con Rovella e Guendouzi a centrocampo, mentre in avanti Tchaouna, con Dia, Isaksen e Zaccagni a supporto.
La Lazio parte subito forte e al 3' Rovella serve Dia che scatta sul filo del fuorigioco ma viene fermato da intervento prodigioso di Maignan. Un minuto dopo sul cross di Nuno Tavares dalla sinistra, svetta Dia di testa ma non inquadra la porta. Poi al 6' tocca a Nuno Tavares a rendersi pericoloso ma Pavlovic sbroglia. Al 12' Isaksen fa partire un violento sinistro dalla distanza, ma la palla sfiora il palo alla sinistra di Maignan. Il Milan reagisce nel momento in cui i tifosi rossoneri fanno il proprio ingresso in curva Sud ma non basta. Al 19' Leao viene pescato al limite dell'area laziale e imbuca per Reijnders, bravo nel centrare la porta in caduta ma non abbastanza da impensierire Provedel. La Lazio riprende ad offendere e al 28' passa: Tchaouna tocca per Marusic che impegna Maignan con il destro in diagonale, sulla respinta arriva Zaccagni che insacca in spaccata con il sinistro per l'1-0. Dopo la rete ospite, Conceiçao si gioca subito la carta Joao Felix per provare a dare la scossa decisiva, ma nel finale Zaccagni va vicinissimo al raddoppio con un destro al volo, fuori di un soffio.
A inizio ripresa il tecnico rossonero fa uscire Jiménez per mettere dentro Walker, ma la Lazio continua a rendersi pericolosa. Al 50' ennesima ripartenza con Nuno Tavares che serve Gigot al centro dell'area ma il difensore biancoceleste calcia debolmente e Maignan blocca. Al 51' Pulisic serve Joao Felix che sii gira e calcia di prima intenzione ma manda di poco sopra la traversa. La gara è aperta e la Lazio al 54' sfiora il bis con Zaccagni: Guendouzi serve il compagno che rientra sul destro e calcia a giro ma manda la palla fuori di pochissimo. Al 55' ancora Joao Felix protagonista, poi la palla arriva a Pulisic che non trova la porta da pochi passi.
Il Milan rischia, si sbilancia e la squadra di Baroni affonda ancora al 58' con Gila che in girata di sinistro spedisce il pallone sopra la traversa. La partita si complica ulteriormente per il Milan al 67': recupero di Guendouzi al limite della propria area e palla per Isaksen che scappa via a Pavlovic che lo stende e per l'arbitro Manganiello è rosso diretto per il giocatore serbo. Milan in dieci e sotto di un gol. Al 71' punizione tagliata di Nuno Tavares dalla sinistra, Maignan non ci arriva e Theo Hernandez rischia l'autorete, poi la difesa rossonera spazza via.
il Milan con le poche energie rimaste prova a raggiungere il pari che arriva un po' a sorpresa all'84' con Chukwueze che di testa trova l'angolino sul cross morbido di Leao sul secondo palo per l'1-1. I rososneri provano anche a vincerla ma la Lazio non ci sta e all'86' Dia serve Isaksen che controlla al limite e calcia in porta col destro, ma Maignan non si fa sorprendere e blocca. Finale concitato che si decide al 98' grazie a Pedro che realizza su calcio di rigore il gol vittoria del 2-1 dopo l'on field Review con Manganiello che assegna il penalty per il fallo di Maignan su Isaksen. Pedro glaciale spiazza il francese e stende il Milan, alla terza sconfitta consecutiva e in piena crisi con Conceicao sempre più in bilico.
Roma, 2 mar (Adnkronos) - "Il vertice di Londra di oggi ha dimostrato che la posizione assunta da Giorgia Meloni in questi giorni è ampiamente condivisa, da Starmer a Tusk a molti altri leader. Quando Giorgia Meloni dice che le due sponde dell’Atlantico non devono dividersi, questo è proprio uno dei messaggi forti che arrivano da Londra". Lo ha detto l’europarlamentare di Fratelli d’Italia- Ecr Carlo Fidanza, capo delegazione del partito a Bruxelles, intervenendo in studio a '4 di sera' su Rete 4.
"E’ importante la posizione espressa dal premier italiano per cui vanno tenuti uniti gli USA e l’Europa. Da 75 anni la Nato garantisce la sicurezza dell’Europa, quindi prima di ragionare di soluzioni anche un po’ avventuristiche fuori dalla cornice Nato, occorre fare ogni sforzo possibile, tenendo gli Usa dentro al tavolo della trattativa sull’Ucraina -ha aggiunto-. Senza la deterrenza militare della Nato, e quindi senza la presenza degli Usa, è impensabile dare reali garanzie di sicurezza all’Ucraina. Una sicurezza che l’Europa da sola non è in grado di garantire e che serve anche per evitare che la Russia faccia ciò che ha fatto con l’Ucraina con altri Stati europei”.
Roma, 2 mar. - (Adnkronos) - Appello per una giovane 26enne di origini siriane scomparsa da Latina ieri. Ayah Krdi, si legge su post dell'associazione Penelope Lazio (associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse Odv), "si è allontanata da casa per recarsi alla casa di riposo Sasn Francesco di Latina. Era a piedi, con il cellulare. Potrebbe trovarsi presso stazioni di autobus o metro".
L'appello continua dando una descrizione della giovane: "è alta 1,64 mt, corporatura media, indossa un velo nero come copricapo, una giacca di colore nero e grigio, jeans, scarpe da ginnastica bianche ed ha una borsa nera. Potrebbe avere bisogno di aiuto", chiude l'appello dell'associazione pubblicando anche una foto della giovane.
Roma, 2 mar. - (Adnkronos) - L'ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino ha chiesto di poter accedere al regime di semilibertà. Nel 2017 era stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per il naufragio della nave da crociera avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 gennaio 2012 davanti all'isola del Giglio provocando 32 vittime e centinaia di feriti. Schettino ha maturato il termine che gli consente di accedere alle misure alternative al carcere avendo già scontato la metà della pena. L'udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma si terrà martedì 4 marzo.
Schettino, recluso nel carcere romano di Rebibbia, beneficia attualmente di 45 giorni all'anno di permessi ottenuti grazie alla buona condotta mantenuta nel carcere romano. L'ex comandante della Costa Concordia tre anni fa aveva ottenuto la possibilità di lavorare in carcere e gli era stato affidato il compito di contribuire alla digitalizzazione dei documenti giudiziari della strage di Ustica e della strage di via Fani a Roma con il sequestro e l'omicidio dello statista democristiano Aldo Moro.
Una delle persone sopravvissute al naufragio, Vanessa Brolli, 27 anni, che era in vacanza sulla Costa Concordia con i fratelli, i genitori e altri parenti per festeggiare i 50 anni di matrimonio dei nonni, ha dichiarato una volta appreso la notizia: "Dispiace sapere che potrebbe tornare a casa. Schettino deve pagare per le sue colpe. A prescindere dalla decisione dei giudici siamo certi che Schettino vivrà il resto dei suoi giorni con addosso il peso di questa tragedia. Questa è la più grande pena per lui. Anche se dovesse uscire dal carcere, dovrà convivere con questa colpa per tutta la vita".
Roma, 2 mar (Adnkronos) - "Ursula Von der Leyen dice che è 'urgente riarmare l’Europa', Macron parla di 'invio di truppe' in Ucraina. Per la Lega invece è urgente lavorare per la Pace. L’Occidente intero ha il dovere di evitare a tutti i costi il rischio di una Terza Guerra Mondiale, bene fa il governo italiano a cercare di tenerlo unito e il presidente Trump, con responsabilità e pragmatismo, a spingere tutti in questa direzione". Lo scrive la Lega in un post sui social.