La recente visita del presidente statunitense Barack Obama in India ha segnato una svolta nelle trattative sulla realizzazione di nuove centrali nucleari che da oltre dieci anni vedono impegnate le diplomazie di Washington e New Delhi. La ricerca di una soluzione all’annoso problema della capacità elettrica indiana – in gran parte dipendente da impianti a carbone – aveva trovato un accordo di massima nel 2008, quando l’allora primo ministro indiano Manmohan Singh e il presidente americano George W. Bush firmarono un’intesa che metteva fine all’apartheid nucleare Usa imposto all’India. La Repubblica indiana non ha mai ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare delle Nazioni Unite e si era sempre rifiutata di aprire le proprie centrali ai controlli internazionali.

Nel patto del 2008 l’India si impegnava a dividere il programma nucleare nazionale in due sezioni, civile e militare, aprendo quella civile alle ispezioni della International Atomic Energy Agency (Iaea), allineandosi agli standard internazionali per l’energia atomica. Da allora i colloqui serrati tra le diplomazie delle due democrazie più grandi del mondo sono proseguiti di pari passo con l’interessamento di Australia e Russia nel partecipare alla corsa al nucleare indiano. Ma se con gli ultimi due sono stati raggiunti degli accordi definitivi – la Russia realizzerà tra gli otto e i venti nuovi impianti nucleari in India, mentre l’Australia fornirà uranio a New Delhi – la firma con gli Stati Uniti ha presentato fino ad oggi due grossi ostacoli.

Primo: secondo la legge Usa, i fornitori americani di tecnologie nucleari sono obbligati a monitorare destinazione e utilizzo dei propri materiali in caso il paese ricevente non abbia ratificato il Trattato di non proliferazione. Secondo: la legge indiana sulla responsabilità penale in caso di incidenti nucleari del 2010 indica che l’operatore nazionale e i fornitori internazionali sono da ritenersi entrambi corresponsabili; i cittadini indiani possono quindi fare causa anche alle compagnie americane, seppur per una cifra che non può superare i 1500 crore (poco più di 24 milioni di dollari).

Secondo quando trapelato sulla stampa nazionale, gli Usa avrebbero rinunciato al controllo diretto delle loro tecnologie e materiale radioattivo in India, mentre sul secondo aspetto è toccato a New Delhi fare alcuni passi verso la posizione intransigente degli Stati Uniti. Il nodo degli eventuali risarcimenti sarebbe sciolto con la stipula di una megapolizza assicurativa legata a ogni nuova centrale nucleare realizzata in joint venture con compagnie americane (per ora si parla di un impianto in Gujarat appaltato a GE-Hitachi e uno in Andhra Pradesh a Toshiba-Westinghouse). Polizza che sarà pagata interamente dalle autorità indiane, per metà dalle assicurazioni statali della General Insurance Corporation of India e il rimanente dalle casse federali di New Delhi. In altre parole, pur di chiudere l’affare americano, il governo indiano – per ora sottovoce – ha intenzione di sobbarcarsi interamente l’onere del rischio economico in caso di incidente, mettendo i soldi necessari alla copertura assicurativa al posto delle compagnie Usa.

In una lunga disamina sull’assurdità della spesa per il contribuente indiano pubblicata sul magazine online Scroll.in, Nityanand Jayaraman – scrittore e attivista antinucleare di Chennai – spiega che se questa ipotesi dovesse andare in porto, l’India dovrebbe sborsare di tasca proprio, solo per la copertura assicurativa, una cifra stimata intorno ai 244 milioni di dollari. Una spesa che andrebbe ad aumentare il prezzo al consumo dell’energia elettrica generata dalle centrali nucleari made in Usa, alzando il costo per kW/h di energia elettrica nucleare fino a 12 rupie (17 centesimi di euro; in Italia il prezzo medio è 23 centesimi per kW/h).

Un’operazione svantaggiosa per l’utente indiano, visto che fonti di energia rinnovabile come il solare e l’eolico, ad oggi, vantano un prezzo per kW/h decisamente inferiore: otto rupie per la prima, 4,5 per la seconda. Ad oggi in India sono attivi 21 reattori nucleari che producono intorno al 4% dell’elettricità nazionale, mentre quasi il 60% del fabbisogno nazionale viene prodotto da centrali a carbone. L’India, soprattutto in chiave di sviluppo economico e produttivo, sconta l’handicap di una rete elettrica nazionale decisamente inefficiente e al di sotto delle necessità del paese. La capacità elettrica installata in tutto il territorio indiano è pari a 255 GigaWatt (GW). Per dare un’idea del divario, secondo i dati del 2013, la Cina aveva una capacità elettrica installata di 1247 GW. Le stime governative indiane indicano che oggi almeno 400 milioni di persone (quasi un indiano su tre) vivono senza corrente elettrica.

di Matteo Miavaldi

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