Un Mattarella calato sul centrodestra, in particolare sul Nuovo Centrodestra, che sognava un ruolo di primo piano per l’elezione del capo dello Stato e invece si ritrova in una strettoia. O, quantomeno, davanti a un bivio che rischia di portare in un vicolo cieco: giurare fedeltà a Matteo Renzi oppure puntare al logoramento dell’alleanza con il Partito democratico (Pd) per giungere alla rottura in tempi ragionevoli, coltivando, nel frattempo, il dialogo con Silvio Berlusconi.
“POTEVA MANDARCI UN TWEET” – Angelino Alfano, infatti, ha dovuto prendere atto di un dato politico: nonostante sia alleato di governo è stato totalmente esautorato dalla scelta del presidente della Repubblica. Ecco perché, nel corso di uno degli incontri che si sono svolti ieri, ha detto a parlamentari e grandi elettori di Area Popolare (Ncd e Udc) che “questa elezione cambierà il futuro scenario politico” perché “noi non siamo degli iscritti al Pd”. Parole che lasciano poco spazio alle interpretazioni. Di più. Chi era presente riferisce di una frase piccata pronunciata dal ministro degli Interni riguardo il metodo con cui Renzi ha, di fatto, imposto la candidatura di Sergio Mattarella al resto degli schieramenti: “Se il presidente del Consiglio aveva intenzione di arrivare a questo risultato poteva evitare la manfrina delle consultazioni. Sarebbe bastato un tweet e avrebbe fatto lo stesso. Se adesso votassimo Mattarella finiremmo per essere totalmente schiacciati”. Al di là delle dichiarazioni ufficiali (“ogni valutazione sul governo è fuori luogo, per noi il patto di governo tiene ed è estraneo a questa giornata”, ha ripetuto più volte Alfano), qualche illustre esponente di Area Popolare fa filtrare che ripercussioni sul percorso delle riforme ci saranno eccome.
LA PAURA DELLA GIRAVOLTA DI B. – Da leggere, in questo senso, c’è l’incontro che nel tardo pomeriggio di ieri ha visto nuovamente seduti allo stesso tavolo i forzisti Renato Brunetta, Paolo Romani, Giovanni Toti, Deborah Bergamini e Maurizio Gasparri con gli esponenti di Area Popolare Nunzia De Girolamo, Fabrizio Cicchitto, Renato Schifani, Gaetano Quagliariello e Lorenzo Cesa. Una riunione come ai bei tempi dell’unità del Popolo della libertà che si è svolto in un “clima disteso”. Anche se è presto per dire se si tratti del primo passo di un nuovo predellino. Perché, spiegano ancora fonti interne ad Area popolare, il timore è che alla fine Berlusconi possa compiere una spericolata inversione di marcia dando ordine ai suoi di votare Mattarella. E “in quel caso noi rimarremmo con il cerino in mano…”, dicono i centristi. A preoccupare loro, ma anche la componente fittiana di Forza Italia, sono infatti i contenuti dei colloqui che in queste ore il Cavaliere sta tenendo con i suoi più stretti collaboratori.
MARINA VS. GIANNI LETTA – Se la figlia Marina lo avrebbe spronato ad andare avanti senza cedere al diktat del presidente del Consiglio, Gianni Letta – al contrario – gli avrebbe consigliato di accettare la candidatura del giudice costituzionale. Ecco perché per tutta la giornata Berlusconi ha evitato di attaccare frontalmente Mattarella (a cui ha addirittura voluto telefonare per spiegargli di persona le ragioni del “no”), ricordando ai suoi che è “una persona degna” e che “non è vero” che non volle l’ingresso di Forza Italia nel Partito popolare europeo. Dall’altra parte, però, l’ex premier ha affermato che “questa situazione segna un altolà al patto del Nazareno” che “si è fermato a metà”. Solo pochi giorni fa il Senato ha approvato la riforma elettorale anche grazie ai voti di Forza Italia: ora l’Italicum tornerà alla Camera per la terza lettura, quella definitiva nelle intenzioni del numero uno di Palazzo Chigi. Montecitorio, invece, non ha concluso l’esame degli emendamenti alla riforma costituzionale: ne restano da votare ancora 600. Insomma le insidie sono dietro l’angolo e l’esito del percorso è imprevedibile. Ecco perché Renzi rischia di pagare a caro prezzo lo strappo sul Colle. Con Silvio e Angelino pronti a brindare. Di nuovo insieme.
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