Nei giorni scorsi, da queste stesse colonne, si sono denunciate alcune gravi irregolarità registrate nella riscossione dei compensi da diritto d’autore richiesti dalla Siae, agli esercizi commerciali che utilizzano musica d’ambiente.
Si è scritto, ciò che è stato riferito e documentato dai gestori di numerosi negozi, ovvero che allorquando la Siae accerta che in un dato giorno viene utilizzata della musica, pretende il pagamento di un compenso corrispondente al canone annuo di una licenza ovvero presume che quell’esercizio commerciale utilizzi la stessa musica per un anno intero e ciò oltre ad esigere il pagamento di una penale pari al 30% del medesimo compenso.
Fatti, di per sé gravi, perché posti in essere dalla rete territoriale di un ente pubblico economico che agisce sotto la diretta vigilanza di una pletora di ministeri e, soprattutto, in nome della legge ma fatti che diventano ancora più gravi allorquando emerga – documenti alla mano – che tale situazione non è frutto di un’iniziativa autonoma di singoli rappresentanti della Siae sul territorio ma è invece figlia delle precise istruzioni che la Società impartisce alla sua intera rete di accertatori, mandatari e ispettori operanti su tutto il territorio nazionale.
Alla denuncia ed alle domande poste alla Siae, allo scopo di far chiarezza, il Direttore Generale della società ha risposto dapprima con una manciata di righe cariche di ironia e sarcasmo e condite con qualche punzecchiatura personale nei miei confronti e, quindi, da ultimo, con un post intriso di offese e falsità gratuite nei confronti “del Sig. Scorza”, cui, però, finalmente, ha aggiunto qualche risposta a nome, evidentemente, della Società che rappresenta.
Non è questa la sede per replicare alle offese ed alle falsità che il Dr. Blandini, Direttore Generale della Società mi indirizza, perché la vicenda non ha nulla di personale e interessa, invece, centinaia di migliaia di artigiani ed imprenditori italiani che, in modo del tutto illegittimo, da anni, si vedono richiedere dalla Siae somme non dovute che, sfortunatamente, nella più parte dei casi, pagano, preoccupati delle conseguenze, addirittura di carattere penale, che vengono loro paventate per l’ipotesi di mancato pagamento.
E’, invece, questa la sede per sottolineare come la risposta del Direttore Generale, a nome della Società italiana autori ed editori, sia intrisa di mezze verità e assolute falsità e come questa non sia un’opinione personale di chi scrive, ma il risultato obiettivo dell’analisi di documenti che si sono potuti esaminare negli ultimi giorni.
Ma val la pena di procedere con ordine, ripercorrendo le domande che si sono poste alla Siae e le risposte che quest’ultima ha dato per bocca del Direttore Generale.
Le prime due domande possono essere riassunte così: è vero che le istruzioni che la Siae impartisce alla propria rete prevedono che a fronte dell’accertamento della circostanza che in un esercizio commerciale suoni musica durante una determinata giornata, si può presumere che tale musica suonerà per un anno intero ed esigere, quindi, dal gestore il pagamento di un compenso annuale?
La risposta del Direttore Generale è difficile da riassumere perché, obiettivamente, evanescente, contraddittoria e sfuggente ma, nella sostanza, la Società sembra dire due cose: a) si esige un pagamento annuale anziché giornaliero perché non esisterebbe una tariffa giornaliera per la musica d’ambiente e, comunque perché tanto prevedrebbero gli accordi con le associazioni di categoria; b) l’accertamento “giornaliero” – ed anzi addirittura quello relativo alla semplice installazione di dispositivi idonei alla diffusione della musica – rappresenterebbe “una valida presunzione ai sensi di legge quanto meno per il periodo medio/minimo delle licenze Siae”.
Due o tre macroscopiche menzogne in una manciata di righe di risposta.
Ecco la verità che raccontano i documenti e che, obiettivamente, suggerirebbe anche semplicemente il buon senso: a) le tariffe della Siae prevedono esplicitamente, anche per la musica d’ambiente, un compenso giornaliero nella misura del 2% di quello annuale e tali tariffe – eventualmente scontate – sono richiamate ed applicate in tutte le convenzione con le associazioni di categoria. Sarebbe, d’altra parte, davvero strano che la Siae riservasse alle associazioni di categoria un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai non iscritti ad alcuna associazione; b) non esiste, naturalmente, alcuna presunzione di legge che data la circostanza che qualcuno utilizzi un opera musicale il 30 gennaio, consenta di presumere che la continuerà ad usare per un anno intero né – anche in questo caso ovviamente – la legge potrebbe addossare sull’utilizzatore l’onere di fornire una prova negativa della circostanza che non utilizzerà l’opera musicale in questione o altre analoghe durante il resto dell’anno.
Basterebbe questo per dire che il Direttore Generale della Siae, nella sua pericolosa arrampicata sugli specchi, mente sapendo di mentire.
E la menzogna, da parte del rappresentante di un ente pubblico economico con alle spalle una storia ultrasecolare è, probabilmente, più grave dei singoli episodi che con le menzogne si vorrebbero coprire.
Ma non basta.
Alla terza domanda con la quale si chiedeva a Siae se fosse vero che, accertato il mancato pagamento del compenso dovuto per un’utilizzazione giornaliera di musica tutelata la Società esiga una penale pari addirittura al 30% del compenso annuale preteso, applicando la regola che precede, il Direttore Generale risponde che la penale sarebbe proporzionata al ritardo nel pagamento del compenso e che arriverebbe al 30% “solo” in caso di ritardi superiori ai 60 giorni.
In questo caso non è neppure una questione di verità o bugia.
Il rappresentante della Siae infatti, ammette candidamente che la società pretende una penale ad un tasso ultra-usario per “ritardi nel pagamento” di oltre 60 giorni e poi finge di dimenticare che, naturalmente, in assenza di un contratto tra la Siae e l’utilizzatore, quest’ultimo non può essere chiamato a pagare – salvo che non lo preveda la legge – alcuna penale.
E’ considerazione alla portata di uno studente di giurisprudenza del primo anno, sempre ammesso che non bastasse il buon senso.
Ancora una volta, quindi, al netto di un po’ di sarcasmo, qualche battuta astiosa, e una manciata di affermazioni fumose, le risposte della Siae non solo non smentiscono la denuncia ma, anzi, la confermano in modo quasi confessorio.
Errare è umano e può, naturalmente, capitare anche alla Siae ma perseverare nell’errore e provare a mascherarlo con tanto grossolane bugie, menzogne e mezze verità è davvero inammissibile.
A questo punto la palla passa agli organi di sorveglianza e di gestione della Società e, naturalmente, al suo Presidente, Gino Paoli: possono far loro la linea del Direttore Generale e supportarlo nelle sue menzogne o possono sfiduciarlo, dimostrando così, davvero, che la Siae vuole cambiare faccia.
Inutile dire che ci sarebbe una terza strada, ovvero quella di un Ministero dei Beni e delle attività Culturali, sin qui Autorità di vigilanza silente, che chiedesse conto alla Siae di tanto gravi irregolarità, trovando inaccettabile che chi agisce in nome della legge, possa addirittura mentire.