Ed anche quest’anno l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario (un rito moltiplicato in ogni tribunale, in ogni corte d’appello, in Cassazione, in ogni ambito giurisdizionale) è passato. Luci ed ombre, come sempre. E’ tempo di bilanci e forse pure di buoni propositi per la giustizia che verrà.
Le luci sono state certamente determinate da molti interventi di magistrati e dell’avvocatura dello Stato (a Milano splendido l’intervento di Laura Bertolè Viale che ha strappato l’applauso più lungo in aula magna, poi ben riportato su il Fatto Quotidiano) che si sono mostrati critici verso i progetti in fieri del Governo del Nazareno, criticando l’intento di allentare lo stato di legalità in danno della collettività e a vantaggio dei furbi e disonesti.
Questa è la magistratura che amiamo: integerrima, indipendente, retta, fiera. Critica dinanzi alle aberrazioni con cui si tenta di smantellare i principi fondamentali della Costituzione. Perché il diritto di critica non può e non deve svaporare solo perché si indossi la toga. La magistratura deve essere la bocca della legge ma non può tacere quando la legge stessa diviene illegittima dinanzi alla Carta costituzionale. Quando il governatore-legislatore intraprende una pericolosa deriva tesa a garantire corruzione, prescrizione, evasione, criminalità. Quando si intende tutelare la parte degli italiani che impunemente ha devastato questo Paese. Certo, la magistratura che amiamo fa pure autocritica e di essa non v’è mai spazio, o quasi, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ma questa è un’altra storia.
Le ombre sono state nuovamente determinate dal refrain recitato a memoria in occasione di alcuni interventi secondo cui se in Italia ci sono molti processi (e dunque la giustizia è lenta) la colpa è dei troppi avvocati in circolazione. Un concetto apodittico perché se da un lato, pur a fronte di un numero certo sproporzionato rispetto alle esigenze di un Paese civile (ma noi lo siamo?), dall’altro si vuole evitare di affrontare realmente quali siano le cause del numero elevato di contenziosi arretrati (nel solo processo civile pari a circa 5 milioni di cause pendenti).
Le cause sono molteplici: a) l’approssimativa organizzazione degli uffici giudiziari (come ci insegna la presenza del dott. Barbuto nel ministero di giustizia); b) la carenza di personale amministrativo (come ci spiega l’eco del caso del tribunale di Monza); c) lo standard di efficienza dello stesso personale amministrativo e le dotazioni dello stesso; d) l’autodichia assoluta dei magistrati che non consente di intervenire sui magistrati inefficienti; e) l’insufficiente applicazione del Codice Deontologico Forense da parte dell’avvocatura; f) la proliferazione degli avvocati a causa di esami di Stato di oscillante rigore e l’assenza di un numero chiuso; g) l’abnorme contenzioso causato da una legislazione spesso incerta, incomprensibile, lacunosa ove non permissiva e lobbistica (si pensi a banche, assicurazioni, trasporti etc.); h) l’elevato contenzioso causato da una giurisprudenza a macchia di leopardo (giudice e tribunale che vai, giurisprudenza che trovi) che mina la certezza del diritto; i) l’abnorme contenzioso causato dalla Pubblica Amministrazione inefficiente.
L’ultimo punto, tra gli ultimi tutti assai gravi, è quello di cui meno si discute. Anzi si tace proprio. Basti pensare che, secondo quanto riferito negli ultimi anni durante le inaugurazioni dell’anno giudiziario dal presidente della Corte di Cassazione, sui 5 milioni di processi pendenti, 1,2 milioni sono di cause contro l’Inps. Ed abbiamo detto tutto. Si pensi poi al contenzioso che investe la Giustizia Amministrativa e la Giustizia Tributaria ed arriveremo a numeri ancora più abnormi. Basti pensare al numero elevatissimo di contenziosi sussistenti solo tra le stesse P.A., oltre a quelle dei privati contro le P.A. (dal diritto di accesso sino all’urbanistica, dall’appalto sino ai permessi di soggiorno) e che dinanzi alle Commissioni Tributarie l’Agenzia delle Entrate soccombe quasi per il 50%. Se avessimo una P.A. efficiente, un legislatore e un governo retti, una giurisprudenza meno creativa e anarchica, probabilmente avremmo la metà dei contenziosi.
Citerò un esempio personale (ma replicabile a pioggia): ricevo in pochi giorni dal Comune di Milano quattro cartelle Tarsu illegittime (per un immobile di cui non sono più proprietario da 7 anni) e una multa altrettanto illegittima. Scrivo dunque ad uno degli assessori di peso della giunta: “Ho ricevuto tante cartelle palesemente illegittime, mi aspetto che nell’anno di Expo il tuo comune migliori l’efficienza dell’ufficio tributi”. Risposta sconcertante: “Milano non è un piccolo paese di campagna, a Milano c’è tanta evasione”. E poi, non pago dello sconcertante assioma (dunque colpiamo tutti, così staniamo l’evasione) mi aggiunge: “Non fare il grillino”. Ora, se essere grillino significa opporsi alle ingiustizie, morirò fieramente grillino.
C’è da chiedersi quanti miliardi e quanta democrazia ci costi ogni anno l’arroganza della inefficienza.