Adesso, chi ha vinto brinda – e magari mostra quel ‘fair play’ che, a palla in gioco, non è il suo forte. E chi ha perso rosica – e medita improbabili rivincite, se tali sono le squadre e gli uomini. Ma andiamoci a rileggere per un attimo i profili, anzi gli identikit, come va di moda dire, del perfetto Presidente che per settimane sono stati tracciati: esercizio notoriamente inutile, che serve solo ad evitare di snocciolare nomi.
Di sicuro, il presidente doveva risultare riconoscibile e bene accetto ai cittadini italiani, che non dovevano chiedersi ‘chi è?’, affondando nei ricordi per ritrovarne la memoria, ma anche riconoscibile e rispettato dai leader dell’Ue e del Mondo. Tutti, ma proprio tutti, ne avevano auspicato “un alto profilo” e “un indiscusso prestigio” internazionali.
Perché ci sono Paesi la cui credibilità internazionale si riflette sul loro presidente, quale che egli sia: chi conosceva, prima che fosse eletto, Joachim Gauck, presidente tedesco? oppure Reuven Rivlin, presidente israeliano?, per limitarci a due Paesi il cui presidente ha poteri analoghi al nostro. Ma ci sono Paesi, come l’Italia, che devono talora contare pure sulla credibilità personale del loro presidente per consolidare la loro vacillante credibilità internazionale.
Il presidente Napolitano, ad esempio, è stato per l’Italia un’ancora all’Europa ed è stato pure preferito come interlocutore italiano dal Presidente Obama, specie nei giorni più difficili dell’ultimo governo Berlusconi.
Ora, da questo punto di vista, Mattarella non rispetta proprio l’identikit, di cui comunque tutti si sono già dimenticati, essendo l’Italia e la sua stampa impegnate nell’elogio corale e banale del neo-eletto. E non si può sostenere il contrario, adducendo a prova la quantità e la tempestività e la calorosità di messaggi di congratulazioni e auguri di buon lavoro che, in queste ore, piovono dal cielo – il Vaticano – e da ogni angolo del Pianeta: quelle sono le ritualità diplomatiche, importanti, magari, ma significative solo se trascurate.
Mattarella è stato ministro della Difesa, è vero, dal 20 dicembre 1999 al 20 giugno 2001, nel governo di Giuliano Amato, assumendo le sue funzioni quando l’Italia aveva appena finito di combattere una guerra a mio avviso ingiusta, a fianco degli alleati della Nato contro la Serbia. Da ministro della Difesa, partecipò a riunioni dell’Alleanza atlantica. Ma non ha mai avuto incarichi europei, né si è mai segnalato per prese di posizione europee.
Fra i nomi che circolavano per il Quirinale, altri superavano meglio la ‘prova finestra’ della credibilità internazionale: Romano Prodi, presidente della Commissione europea e poi inviato dell’Onu; e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea; e pure Amato ed Emma Bonino.
Certo, quello è solo un criterio. E, sicuramente, non è il più importante, né è necessario. La credibilità e il prestigio internazionali del nuovo presidente potranno crescere “mandato durante”. Ma nei mesi a venire il Quirinale sarà un punto di riferimento più italiano che europeo e internazionale: Renzi, Gentiloni, Pinotti, Mogherini giocano senza libero alle spalle.