A legare ancora una volta il suo nome all’amianto è l’inchiesta Aemilia, condotta dalla Dda di Bologna. Perché, tra le ragioni dell’arresto di Augusto Bianchini, finito in carcere il 28 gennaio scorso per concorso esterno in associazione mafiosa, c’è anche l’accusa di aver “utilizzato per lo scavo e la stabilizzazione del nuovo sistema stradale della tangenziale di Sermide materiale contaminato da amianto”, che poi sarebbe stato “occultato mediante rullaggio e copertura con cementato, così da precludere un futuro controllo da parte degli organismi preposti”.
Secondo gli inquirenti, infatti, l’imprenditore, titolare dell’omonima ditta con sede a San Felice sul Panaro (Modena), considerato dalla Dda figura chiave per l’infiltrazione della ‘ndrangheta nei lavori relativi alla ricostruzione successiva al sisma del 2012, ha utilizzato, per la realizzazione del nuovo tratto stradale, a oggi ancora chiuso, ma completato nel 2012 per collegare le Officine Ferrovie di Sermide con il nuovo polo industriale, “materiale non utilizzabile nel cantiere”, cioè contaminato da amianto. Un appalto da 1,8 milioni di euro, che la ditta dell’imprenditore si aggiudicò per 1 milione 315 mila euro, senza sapere che nel corso dello svolgimento dei lavori sarebbe stato intercettato. Ed è proprio attraverso quelle conversazioni, come riporta la Gazzetta di Modena, che gli inquirenti hanno saputo dell’amianto collocato sotto la tangenziale, nonostante i tentativi di nasconderlo per superare i controlli dell’Asl.
Bianchini – dicono gli investigatori – avrebbe conseguito “un vantaggio consistente nell’indebito guadagno ottenuto mediate la miscelazione sistematica e ingente di rifiuti contenente amianto, e mediante il loro riutilizzo quale materiale per la pavimentazione”. E non solo in relazione alla nuova tangenziale di Sermide. Un illecito ambientale su cui hanno indagato in passato sia la Procura di Modena, sia quella di Reggio Emilia, ma che ora si intreccia a quella presenza mafiosa al centro dell’inchiesta Aemilia.
Gli atti dell’indagine, che collegano Bianchini a Michele Bolognino, considerato dal procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, uno dei promotori della ’ndrangheta cutrese tra Parma e la Bassa Reggiana, e che identificano l’imprenditore di San Felice sul Panaro come un ‘appoggio’ per i membri dell’associazione mafiosa, attraverso cui gestivano i lavori ottenuti in appalto dopo il terremoto, fornendogli pure gli operai, infatti, parlano anche di amianto nell’area dove sono stati collocati 80 moduli abitativi provvisori per sfollati a San Felice, nella costruzione di una ditta biomedicale, delle nuove scuole di Mirandola, per fare qualche esempio. Un’intera mappa che comprende cantieri dislocati lungo tutta la bassa modenese. Contaminati con quell’amianto di cui già si parlava nell’esposto quest’autunno alla Procura di Modena dal Movimento 5 Stelle, che denuncia la presenza due aree di deposito nei pressi di San Felice sul Panaro: la seconda lasciata incustodita a cielo aperto, mentre i materiali della prima “sono finiti un po’ ovunque: sotto scuole, campi sportivi e della protezione civile, aziende, centri commerciali”. Protagonista, sempre la Bianchini srl.
L’imprenditore, del resto, è riuscito ad aggiudicarsi diversi appalti dopo il terremoto, nonostante l’esclusione della Bianchini Costruzioni dalla white list da parte della Prefettura di Modena, scattata nel 2013. Sette dei quali, pubblici. Ed è proprio alla luce di quanto emerso fino ad ora dall’inchiesta Aemilia, in relazione a Bianchini ma non solo, che la Procura di Bologna sta passando al vaglio tutti gli appalti relativi alla ricostruzione: “Per stabilire – spiega il procuratore Alfonso, a capo della Direzione antimafia dell’Emilia Romagna – se sono stati assegnati in maniera regolare”. A partire dalle interdittive emesse dai prefetti dell’area del cratere relative all’esclusione di 70 imprese a rischio infiltrazione mafiosa dalle white list. Gli elenchi, cioè, di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, introdotti con il decreto legge 174/2012 per stabilire chi può accedere alle gare d’appalto pubbliche e private nei territori interessati da eventi calamitosi, e chi no.
La Bianchini, infatti, aveva aggirato l’ostacolo con la complicità del tecnico comunale di Finale Emilia Giulio Gerrini, arrestato a sua volta, creando una nuova società, la Ios, intestata al figlio Alessandro (oggi ai domiciliari assieme alla moglie dell’imprenditore, Bruna Braga) che poi si era aggiudicata l’appalto per la rimozione delle macerie del castello di Finale Emilia, uno dei simboli dei terremoti del maggio 2012.