C’è solo un caso in cui il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella perde il suo proverbiale aplomb britannico e si rivolge ai giudici: quando viene attaccata la memoria di suo padre Bernardo. È per questo motivo che nel 2008 il neo capo dello Stato, insieme ai nipoti Maria e Bernardo (figli del fratello Piersanti, ucciso da Cosa Nostra il 6 gennaio del 1980, quando era presidente della Regione Siciliana) decide di fare causa alla Rti e alla Taodue, produttori della fiction Il Capo dei Capi. Il motivo? Nella mini serie televisiva di Canale 5, alla figura di Bernardo Mattarella “si attribuiscono allo stesso amicizie o comunque frequentazioni mafiose che non hanno riscontro alcuno, ricorrendo ad artifici anche grossolani”. Una vecchia diatriba quella dei presunti contatti tra il fondatore della dinastia dei Mattarella e Cosa Nostra.

Nato nel piccolo comune di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, nel 1905, Bernardo Mattarella fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, arrivando a ricoprire più volte l’incarico di Ministro negli anni ’50 e ’60. Nemico storico del separatismo (“Un movimento che bisogna seguire e vigilare anche per l’elemento poco buono da cui è circondato, la mafia“, scrive in una lettera ad Alcide De Gasperi), nel 1958 si dice favorevole alla nascita della prima commissione parlamentare antimafia. Poi nel 1965 arrivano le accuse del sociologo Danilo Dolci, con un dossier, poi pubblicato con il titolo Chi gioca da solo, nel quale si accusava Mattarella senior di aver avuto contatti con Cosa Nostra. Il padre dell’attuale capo dello Stato querelò Dolci, ottenendo la condanna del sociologo a due anni di reclusione.

Cinquant’anni dopo nuova querela, questa volta civile e nei confronti della fiction di Mediaset, e nuova vittoria. Nella mini serie televisiva “veniva evocata nel pubblico dei telespettatori la falsa credenza che l’onorevole Mattarella fosse amico e conviviale di Vito Ciancimino, al punto da intrattenersi a casa sua per giocare a carte e che fosse vicino ad ambienti mafiosi e del malaffare imprenditoriale con l’amicizia dell’imprenditore Caruso” scrivono gli eredi dell’ex ministro nella citazione. E il 3 ottobre del 2013, il giudice monocratico Sebastiana Ciardo dà ragione ai Mattarella. “La diffamazione operata ai danni di Bernardo Mattarella – scrive il giudice – scaturisce dalla non veridicità dei fatti narrati, giacché non vi sono elementi per ritenere provato il rapporto di amicizia con Ciancimino, e non è veritiera la comunanza di interessi politici giacché è, piuttosto, provata la militanza in correnti diverse della Democrazia Cristiana (si vedano gli articoli di giornale prodotti da parte attrice) e l’assenza di qualsiasi legame tra i due”. Alla fine i produttori televisivi sono stati condannati a risarcire con settemila euro a testa Sergio, Maria e Bernardo Mattarella.

Nel 1992, invece, era stato l’allora guardasigilli Claudio Martelli ad attaccare la memoria di Mattarella senior. “Bernardo Mattarella– disse Martelli – secondo gli atti della Commissione antimafia e secondo Pio La Torre, fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la Dc“. In quel caso Martelli non fu trascinato in tribunale. Ma per la prima (e forse unica) volta il futuro capo dello Stato replicò duramente. “Martelli la deve smettere con questa incivile abitudine di insultare le persone morte da tempo; questo attiene non alla politica ma soltanto alla educazione e alle basi elementari della convivenza civile ed umana. E poi, le sue, sono tutte menzogne. Mio padre fu notoriamente antifascista, contro la mafia che era monarchica e separatista. Fu repubblicano e fu il principale avversario del separatismo in Sicilia”.

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