Prima ancora degli investimenti della famiglia Boschi, la Popolare dell’Etruria, nei giorni scorsi al centro di un terremoto  borsistico e quindi mediatico, custodisce un vero e proprio gioiellino: la Banca Federico Del Vecchio, le cui radici affondano 125 anni fa in Romagna, a Lugo e successivamente a Bologna dove i tre fratelli Giuseppe, Isaac e Alessandro del Vecchio vengono destinati dal Papa Benedetto XIV “… per servirsi di essi in tutto ciò che Le potrà occorrere in detta città…”. La famiglia passa gli Appennini e si sposta a Firenze dove nel gennaio del 1889 costituisce la ditta Bancaria Federigo del Vecchio, una banca individuale, che nei primi anni investe prevalentemente sul mercato di Borsa. Le due tappe fondamentali della storia della Del Vecchio vengono segnate nel 1973, quando viene trasformata in società per azioni, e nell’ottobre del 2006 con l’ingresso nel gruppo Banca Etruria che per averla sborsò 110 milioni di euro.  Per la città dei banchieri sino dal Medioevo, non è stato facile dire addio alla sua ultima banca privata indipendente, acquisita per giunta da un istituto del “contado”.

Un tempo solo pochi rampolli della Firenze bene – compiuti i diciotto anni –  ricevevano in regalo un conto e un carnet di assegni di Banca del Vecchio. Ma ancora oggi, come si legge sul sito, l’istituto che conta su solo sei sportelli si propone come “boutique fiorentina del risparmio, con una solida tradizione, tipica degli istituti di credito di fine Ottocento”. Un punto di riferimento, dunque, “per le élites della città e un soggetto autorevole per la gestione dei patrimoni privati nell’area del capoluogo toscano”. E’ partner dei più importanti musei fiorentini, ha finanziato restauri di opere e sale per esempio al Museo del Bargello e all’Istituto degli Innocenti, e ha partecipato alla realizzazione di progetti dell’Istituto della Crusca. Ecco perché alcuni osservatori hanno collegato la cassaforte fiorentina all’improvviso – e per qualcuno sospetto perché avvenuto a ridosso del decreto del governo sulle Popolari – balzo in Borsa dei titoli dell’Etruria (+50% in pochi giorni a fronte del trasferimento in mani diverse di oltre un terzo del capitale). Qualche giorno fa il Corriere della Sera definiva una trama suggestiva, quella che porta alle ricche famiglie fiorentine “i cui portafogli sarebbero il vero obiettivo”.  Insomma, la manovra in Borsa sarebbe mirata a garantire un approdo sicuro a nobili e segreti portafogli.  Tesi rilanciata anche dal Messaggero il cui sospetto è che i copiosi acquisti in Borsa siano “il primo passo di un piano che prevede lo scorporo della Banca Del Vecchio onde evitare di essere trascinata nelle trasformazioni che sicuramente colpiranno il mondo delle popolari”.

In realtà, del possibile scorporo della banca dal gruppo Etruria a Firenze si parla già da novembre dell’anno scorso riportando rumors su una possibile cessione di quella che in riva all’Arno chiamano la “banca dell’oro” per fare cassa nonché per renderla più attraente nella prospettiva di “integrazione con una realtà bancaria maggiormente rilevante”, come all’istituto aretino impone Bankitalia per superare i danni provocati dalla vecchia stagione del credito facile (tanto, a pochi) che ha portato sofferenze e bilanci in rosso. Il presidente di Etruria, Lorenzo Rosi, aveva glissato, ribadendo che il piano della banca di Arezzo si propone di raggiungere riduzione dei costi ed efficienza senza vendite. Di certo, nella Del Vecchio l’Etruria ha concentrato il proprio polo di wealth management per la consulenza di alto profilo alla clientela privata. L’istituto ha chiuso la terza trimestrale con una raccolta in crescita dell’8,3% sulla soglia dei 700 milioni, un utile netto a 191mila euro e un patrimonio sopra i 40 milioni di euro. Con un rapporto patrimoniale, il famigerato Tier 1 fatale per tante banche italiane, pari al 23,04% (rispetto a una media di sistema europeo del 13,1%) la Federico Del Vecchio supererebbe anche gli stress test più duri. Il boccone, dunque, è ghiotto. Ma così tanto da giustificare il rally dell’Etruria? Sui movimento della capogruppo in Borsa avrebbe acceso un faro anche la Consob che alla Del Vecchio ha ceduto di recente uno dei suoi “sceriffi” migliori.  Da ottobre 2013 il presidente dell’istituto fiorentino è Claudio Salini, che ha iniziato la sua carriera presso la Banca Commerciale Italiana ma in passato ha ricoperto proprio in Consob il ruolo di responsabile della Divisione Mercati, per poi arrivare nel 2011, ad assumerne l’incarico di segretario generale.

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