Essere trentenni in Italia, senza un lavoro e senza prospettive… è cos ’e nient!

Pur chest è cos ’e nient , è semp cos’e nient, tutte le situazioni sempre così le abbiamo risolte…è cos ’e nient, non teniamo che mangiare… è cos ’e nient, ci manca il necessario… è cos ’e nient, domani perdo il lavoro… cos ’e nient, ci tolgono il diritto alla vita, ci tolgono l’aria che vuo’ fa… è cos ’e nient. A furia di dire è cos ’e nient, siamo diventati due cos ’e nient.
Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro, ma se onestamente non si può vivere… se io esco ed uccido qualcuno o se io impazzisco e mi portano al manicomio e la gente ti domanderà come mai vostro marito è impazzito, devi rispondere, ma così…per cos ’e nient”.

E’ cos ‘e nient”, è questa la frase che Eduardo De Filippo fa ripetere al suo personaggio Peppino Girella della omonima serie televisiva, come a sottolineare il tipico spirito di rassegnazione dell’italiano medio di fronte alle mille difficoltà della vita quotidiana.

Lo stesso atteggiamento lo riscontro anche nella gran parte dei miei coetanei, che con frasi del tipo “aspettiamo, vediamo, speriamo…”, affrontano a loro modo i problemi quotidiani legati all’attuale crisi di lavoro, minimizzandola.

Rimane però il fatto che la realtà è tragica, soprattutto per i trentenni che sono considerati “fuori”; infatti leggendo un qualsiasi sito o un giornale di annunci di lavoro, si troveranno offerte del genere … cercasi giovane laureato età max 29 anni con esperienza minima di 5 anni nel settore, voto di laurea minimo 105/110, inglese fluente, con capacità di lavorare in gruppo, etc …”.

E che dire delle proposte di corsi di formazione o stage, nei quali si richiede “Residenza nella Regione xxxxxx; età non inferiore ai 18 anni e non superiore ai 29 anni alla scadenza della data di presentazione della domanda”.

Ieri leggevo sul Sole 24 ore: “La scuola aiuta a trovare lavoro? Per l’Ocse l’Università è troppo distante dal mercato, (…) In Italia ben il 16% di chi è uscito dall’Università con il famoso ‘pezzo’ di carta è disoccupato (per l’84% che ha una laurea e un lavoro, il primo stipendio in media non supera gli 850 euro al mese)”. (2)

Non bisogna generalizzare certo, ma purtroppo le Università italiane continuano a produrre personale spesso non qualificato e preparato al mondo del lavoro, contribuendo ad ingrandire sempre più la distanza dalla realtà lavorativa.

Cosa ancora più grave, da evidenziare, è che molti giovani escono dal mondo universitario senza avere idee chiare sul proprio settore e su cosa vogliono fare da grandi ed inoltre mostrano scarso interesse verso quelle riforme che ne condizionano il futuro, subendone passivamente gli effetti.

Capisco che stiamo in Europa (almeno sulla carta) e che quindi il sistema normativo italiano in materia di lavoro si deve adeguare alle normative comunitarie (programmi Ue , progetto garanzia giovani ed altri), ma la verità è che l’Italia, nonostante in Europa, resta un Paese in cui non vengono offerte possibilità ai giovani trentenni, vero motore delle prossime generazioni, e pertanto neanche paragonabile ad altri Stati Europei che almeno cercano di dare delle garanzie e/o aiuti (redditi di cittadinanza, sostegno alle famiglie, percorsi formativi di reinserimento lavorativo, etc).

In questa situazione, che può fare un giovane trentenne in Italia?

Aprirsi una partita Iva tra mille difficoltà e sperare di emergere nella libera professione e/o impresa, con tutti i rischi relativi, come un’aliquota contributiva che per la riforma Fornero dovrebbe passare nel 2015 dal 27,72% al 29,72%, per poi salire al 33,72% nel 2019, ed un aumento dell’imposta sostitutiva dell’Irpef dal regime del 5 al 15 %, previsto dalla modifica del regime dei minimi voluta dal governo con l’ultima legge di stabilità.

Creare una start up, che altro non è se non l’avvio di un’impresa; cosa che, dopo un anno, per i problemi e le difficoltà tipiche di qualsiasi impresa in Italia (costo del lavoro, elevata tassazione, costi fissi, etc etc), nella gran parte dei casi si avvia alla chiusura.

Partecipare a concorsi pubblici, sempre che siano banditi; io personalmente , ne ho visti uscire pochissimi negli ultimi anni, quasi da contare sulle dita di una mano ed in alcuni casi con requisiti fuori da ogni logica.

Sperare di essere assunti da un’azienda; cosa che, con la nuova normativa del Jobs Act a tutele crescenti in vigore da gennaio 2015, comporta il rischio di rimanere precari e senza garanzie.

Last but not least, lasciare il Paese; leggevo qualche giorno fa, in un articolo sul Regno Unito, che: “Gli ultimi dati dell’Office for national statistics davano 44mila arrivi italiani nell’anno passato, con un aumento del 66 per cento rispetto al precedente. La nuova ondata migratoria sarà costituita da professionisti e lavoratori intellettuali”.

Di questi nuovi emigranti, secondo i dati dell’Ambasciata italiana a Londra il 60 per cento ha meno di trentacinque anni, il 25 per cento fra i trentacinque e i quarantaquattro.

Ed allora al nuovo Presidente della Repubblica Mattarella, che ha voluto da subito dedicare un pensiero alle difficoltà e alle speranze degli Italiani, rivolgo, non dopo aver fattogli i miei auguri di buon lavoro, l’invito a focalizzare maggiore attenzione soprattutto alla generazione dei trentenni, indirizzando l’attuale classe politica verso riforme adeguate a garantire il loro diritto al lavoro.

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