Slevin − il film, intendo – non vale una cicca, ma ha il merito di aver ‘formalizzato’ la Mossa Kansas City. Quella per cui la vittima di una truffa, proprio perché la truffa riesca, deve sentirsi più furba del truffatore. Deve cioè sapere che la si sta truffando, ma sbagliarsi clamorosamente sul vero oggetto della frode. In soldoni: la vittima sospetta di essere raggirata; è dannatamente convinta di sventare l’inganno, e tuttavia sta travisando in pieno, perché l’imbroglio che le si sta ordendo intorno non è quello che crede bensì un altro.
In breve: Kansas City è la mossa che Renzie ha inflitto al Cavaliere. Il quale, almeno fino a ieri l’altro, s’era dimostrato più furbo di tutti – non fosse perché guercio in mezzo a uno stuolo di orbi (il trio dei ‘meravigli’ D’Alema-Veltroni-Bersani). E difatti, proprio perché temeva che il ‘Guappo’ di Rignano volesse incartarlo, gli aveva imposto la propria strategia. Della serie: io voto le riforme neutralizzando la minoranza ‘giacobina’ (si salvi chi può!) che vuol disarcionarti, a patto che mi si diano, in ordine: garanzie per le mie aziende, un qualche salvacondotto giuridico (l’articolo 19 bis del decreto attuativo della delega fiscale, per cui l’evasione fiscale di Berlusconi viene depenalizzata) e l’elezione di un Capo dello Stato non ostile, anzi: opportunamente ‘accomodante’.
Bravo Renzi, allora. Sì e no. Non dobbiamo infatti compiere l’errore di passare per fessi pure noi, ribolliti (toscanamènte) come un Berluska qualsiasi – per giunta a fine corsa. Anche nei confronti dell’opinione pubblica, difatti, Renzi ha replicato la mossa di cui sopra. Tutti s’aspettavano un Presidente moderatamente berlusconiano: della serie c’eravamo tanto Amato, aut similia. Invece quando Renzi, sparigliate le carte, ha fatto eleggere un prelato non troppo gradito, a quanto pare, a Berlusconi, ecco tutti gli house organ di Palazzo Chigi, prostrati come lacchè, tra flabelli che sventagliano e turiboli fumiganti, applaudire – gaudium magnum – il nuovo salvatore super partes: l’homo placidus, Mattarella il mite anacoreta dell’onestà che cala angelicamente tra noi direttamente dal Monte Athos dispensando pace e prosperità; il sommo conciliatore, uomo nuovo e immacolato, limpido come acqua di sorgente quanto inflessibile nel proteggere i valori fondanti della Civiltà Repubblicana. E bla bla bla. Ma dico, è possibile stare a sentire tutte queste giaculatorie senza aver rigurgiti? Oltretutto: nessuno che dica la verità, cioè che, fisiognomicamente, Mattarella è un incrocio tra Ratzinger e Derrida, con netta preponderanza somatica del secondo ma un’eclatante supremazia presbiterale del primo?
Come che sia, Renzi − col beneplacito del suo partito e dei vari ruffiani che gli si sono accollati per salvare scranni e chiappe e poter financo ambire a qualche altra prebenda futura, ma soprattutto grazie all’instancabile opera di lisciatura coordinata da giornaloni e testate televisive − sta facendo passare per figura inedita, salvifica e pure – udite, udite − estranea al palazzo (s’odono risate fuoricampo), un brontosauro della Prima-Seconda-Repubblica (trattini che, volutamente, alludono alle quaestiones disputatae medievali sugli indiscernibili). Fatte salve le ‘penombre’ che pur gravano sulla sua famiglia – partendo dall’Innominato, cioè il terzo fratello, Antonino (sui cui affari già molto è stato scritto), à rebour fino ai maneggi di padre Bernardo, sospettato, benché poi assolto, di connivenze mafiose anche da Danilo Dolci −; a prescindere dalle ‘penombre giudiziarie’, dicevo, rimane il fatto che al nome Mattarella corrisponde una vera e propria dinastia di potere, una specie di ‘filotto’ democristiano che manca poco falsifica persino la selezione naturale: il padre è stato tra i boiardi DC fin dal ’43, membro della Costituente e più volte (una decina) incoronato ministro; il fratello Piersanti era Presidente di Regione e Sergio il Mite ha fatto quattro volte il ministro prima in quota DC, poi con D’Alema e Amato non disdegnando, post Mani Pulite, di riciclarsi come Vicepresidente del Consiglio nel primo governo Baffino.
Altro che novità o discontinuità: Mattarella rappresenta intus et in cute il notabilato più gattopardesco, quell’insoffribile miscela di ‘presentabilismo’ (il mito clericale dell’uomo per bene) e conservazione che in Italia l’ha fatta da padrone per oltre cinquant’anni impedendoci di essere un Paese normale, cioè laico e non feudale. Ma davvero c’è ancora gente disposta a sopportare che il primo gesto di un Presidente della Repubblica sia farsi immortalare a messa attorniato da un manipolo di suore, per giunta muto perché, si sa, la santità “non si racconta, si vive”, come pontifica l’incartapecorita Suor Calcutta di Sorrentino? Ma ve l’immaginate un Pertini in gita cardinalizia che, con fare da Papa Montini, offre a Dio il contegno dell’anima e poi si raccoglie in aquinate silenzio?
E la grande maestria – il capolavoro politico − di Renzi, in che consisterebbe? Nell’aver turlupinato Berlusconi per piazzare un bolscevico integerrimo e rottamatore? Giammai! È tutta nell’aver installato sul Colle un veterodemocristiano ultramoderato che in fin dei conti garantisce comunque gli equilibri degli ultimi… settant’anni (!). Oltretutto con religiosissima sobrietà. Perché sì, tocca sorbirci pure questa: siam morti democristiani, tra i canti scout di Renzie La Qualunque e i salmi, austeri e compostissimi, del nuovo Presidente. Sentite condoglianze a tutti.