Società

Sessismo e violenza a parti invertite

Si fa sempre un gran parlare della violenza degli uomini sulle donne e, io per primo, lo ritengo un argomento da mettere sotto i riflettori: il rischio dei riflettori è però che, se non ben posizionati, possono abbagliare e disorientare.
La violenza sulle donne è un fenomeno strutturale della nostra società, bisogna contraddire, in ogni occasione possibile, coloro che ne parlano ritenendolo invece un fenomeno emergenziale. Di emergenziale c’è solo chi continua a speculare sull’argomento senza alcun tipo di qualifica o esperienza, e questo riguarda anche coloro che sono animati dai migliori propositi. D’altronde non si dice che è proprio la strada dell’inferno ad essere lastricata di buone intenzioni?

Precisato e sottolineato ciò, questo non significa che le donne non siano in grado di esercitare forme di violenza sugli uomini o che il sessismo sia a senso unico. Un bel post di Eretica di pochi giorni fa offre degli ottimi spunti di riflessione. Certo, c’è un presupposto culturale e sociale non indifferente che spiega come mai sia più facile individuare la violenza ed il sessismo degli uomini e questo aiuta a comprendere il perché del trascurare il fenomeno a parti invertite, ma non lo giustifica.

Quando si parla di violenza, nell’immaginario comune, quel che viene fuori, in prima battuta, sono schiaffi, calci, pugni, femminicidio ossia la violenza fisica, ecco perché è molto più facile pensare un uomo che picchia o uccide una donna, anziché il contrario. La forza fisica dell’uomo, generalmente superiore a quella della donna, rende a lui molto più facile aggredire che essere aggredito fisicamente.

Nell’immaginario comune quindi quel che viene molto meno fuori è la violenza psicologica oppure si è portati a considerarla come una violenza di serie B, ovviamente non lo è. Personalmente ho imparato a cercare di evitare qualsiasi forma di classificazione della violenza in base alla sua gravità, dietro a tutto si nascondono soggettività e sensibilità così diverse di cui voler fare una valutazione acquista un sapore di pretenziosità pericoloso. Fermo restando che  ci sono degli atti di violenza più facilmente individuabili o la cui gravità è evidente tanto da costituire reato (ed è per questo che esistono giudici e processi) di solito nel mio lavoro, come nella mia vita personale, tendo a evitare di puntare il dito, c’è chi lo farà per me e magari anche correttamente. La percezione di sentirsi in pericolo e la paura che se ne segue possono essere dati da elementi oggettivi, ma anche da altri più soggettivi e sfumati. Si potrebbe aprire una disamina sulla percezione di paura soggettiva dalla quale non se ne uscirebbe, se tutto è violenza niente più lo è, ma d’altronde il maltrattamento esiste e purtroppo gode di buona salute.

L’aggressività fa parte della persona, uomo o donna che sia, ed è per questo che sono scettico quando si parla di eliminare la violenza, avere come obiettivo qualcosa di irraggiungibile alla lunga diventa frustrante e aumenta proprio quel che vorrebbe far scomparire. L’aggressività e la rabbia hanno delle funzioni biologiche, prima ancora che sociali, la natura difficile faccia le cose in modo troppo casuale. Sono altresì convinto che invece sia auspicabile e possibile diminuire la violenza e gestire in modo maggiormente funzionale la rabbia che ne è spesso alla base.

Se l’uomo è più sviluppato fisicamente in termini di forza, per motivi biologici, ed è quindi portato all’attacco per difendere, la donna, generando la vita dal proprio corpo e prendendosene cura, è più portata alla difesa per attaccare utilizzando più la psiche che il corpo. E’ come se socialmente la violenza delle donne non fosse percepita come pericolosa o comunque come un qualcosa che non possa arrivare a fare gli stessi danni di quella degli uomini, ma è solo un altro stereotipo da abbattere.

E’ una forma di sessismo e violenza pensare che il sessismo e la violenza riguardino solo le donne, come lo è minimizzare che comunque riguardino soprattutto le donne.