Nonostante i video "su misura" in rete, davanti al televisore, senza nulla togliere ad iPad e telefonini, ci sta ancora la stragrande maggioranza di noi
È sempre meno inconsueto imbattersi nel tizio con cuffie audio e occhi fissi al telefono dove si muove un video. E sappiamo che da tempo gli adolescenti di casa danno le spalle al televisore e se ne stanno accartocciati attorno a un qualche iPad.
Così galoppa l’annuncio: la tv generalista, quella che ha fatto incazzare e dormire le (quasi) passate generazioni, è finita perché, tranne qualche affezionato a Cesano Boscone, ci si sparpaglia fra palinsesti fai da te e leccornie video su misura (anche autoprodotte, in un turbinio di filmaker, youtuber, e di “il video è mio e me lo gestisco io”).
Un affresco realistico per la parte construens, perché è vero che si sta moltiplicando il consumo di video personalizzati; ma del tutto infondato per la parte destruens, perché la tv generalista non pare affatto emarginata, a dare retta all’Auditel (e noi, lo confessiamo, gliene diamo abbastanza).
Intanto, davanti al televisore, senza nulla togliere ad iPad e telefonini, ci sta ancora la stragrande maggioranza di noi. Tant’è che la sera (prendiamo i dati del gennaio appena concluso) tra le 20.30 e le 23 gli ascoltatori “medi” sono 27,5 milioni. Dunque gli spettatori reali che hanno tenuto acceso il televisore più o meno a lungo sono molti di più, quasi l’intera popolazione.
L’enorme torta dell’ascolto si concentra per la più gran parte (65%) sui canali della tv di sempre (le tre reti Rai, la tripletta Mediaset, La7). Meno dell’84% che risucchiavano nel 2009, ma siamo lontani dal crollo.
Intanto perché sia Rai che Mediaset (nel suo piccolo anche La7) quel che perdevano dalla mano vecchia se lo sono ripreso in gran parte (13%) con la mano nuova dei cosiddetti “canalini”, dove rifriggono lo stesso materiale che passa sui canaloni. E poi perché tra gli stessi canaloni qualcosa si muove. Se l’Isola dei famosi fa il botto con il 27% del pubblico, vuol dire che basta premere l’acceleratore dell’investimento in spettacolarità per ritrovare le folle di un tempo. Se Rai Due, zitta zitta, si sta scavando un posto a colpi di Made in Sud e con accurate scelte di format (come Boss in incognito), vuol dire che esiste ancora la possibilità di creare “specchi” per ampie zone del grande pubblico. E dunque ci sarà sempre una grande quantità di pubblicità che vorrà comparirvi e che finanzierà l’esistenza della “solita tv”.
Questa tenacia del pubblico mostra con chiarezza, a parere nostro, che il “generalismo” coincide innanzitutto col “vedere la stessa cosa insieme”. Prima ancora che un tipo di televisione è una costante della socialità. Per cui, è facile prevederlo, anche quando tutti i televisori saranno connessi a internet e ci saremo sbarazzati dei vecchi decoder per pescare offerte in giro per il web, buona parte di noi cercherà quel che è certo che altri stanno vedendo esattamente in quel momento: la partita, il giuramento di Mattarella, le disavventure dei famosi sull’isola nonché, a proposito, Sanremo. Per incazzarcisi o dormirci davanti. Come sempre.