Un danno per il Comune. Quella giornata di terrore per la città con un uomo, che armato di piccone, nel maggio del 2013, uccise tre persone, ha provocato “comprensibile intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’amministrazione comunale”. I giudici della seconda Corte d’Assise d’Appello di Milano motivano anche così la conferma della pena inflitta il 20 gennaio ad Adam Kabobo a 20 anni di reclusione.
Secondo i giudici d’appello, che hanno confermato la condanna di Kabobo al pagamento delle spese legali e al risarcimento delle parti civili, tra cui il Comune di Milano, il danno per la città è dovuto anche “all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività di promozione dell’immagine della città anche all’estero” in vista di Expo 2015 “sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attività di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro dei plurimi omicidi”.
La difesa di Kabobo, nel suo ricorso in appello, aveva sostenuto che “il Comune di Milano, quale amministratore efficiente ed efficace anche con riferimento alla complessiva attività anti violenza e in considerazione della visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015, non aveva subìto alcun danno d’immagine”. Per la difesa, quindi, “non è l’immagine di Milano ad essere lesa, quanto l’immagine degli apparati dello Stato che non sono risultati in grado di prendersi carico di un soggetto individuato, già all’epoca della detenzione a Lecce, come affetto da problemi psichiatrici gravi“.
Il danno, si legge nelle motivazioni della sentenza, sarebbe stato prodotto dal “grande clamore mediatico sui giornali nazionali e sulle reti televisive, anche straniere, della notizia dell’omicidio di tre cittadini milanesi, colpiti a picconate in piena città” e dall’”attenzione dedicata dai mass-media alla tristissima vicenda”. Secondo i giudici “un omicidio plurimo di grande efferatezza e clamore mediatico diffonde l’idea dell’inefficienza delle attività intraprese” dal Comune “in sinergia e coordinamento con le iniziative del Prefetto e del Questore” sul tema della sicurezza.
“L‘azione criminale” di Adam Kabobo fu “agevolata dalla malattia che gli suggerì il mezzo per consentirgli di perseguire il suo lucido progetto di esprimere rancore e sfinimento per le sue esperienze di quotidiana lotta per la sopravvivenza“. Secondo i giudici, che citano alcuni passaggi della perizia psichiatrica, Kabobo “non agì perché vinto dalla patologia che gli è stata diagnosticata”. “Egli non era ‘caduto nel crimine’ perché vinto completamente dagli impulsi patologici ai quali non ha saputo o potuto resistere – si legge nelle motivazioni della sentenza – Le ‘voci’ gli avevano suggerito un possibile sviluppo-epilogo della sua situazione, ricordandogli ciò che avveniva nei suoi territori d’origine ove le persone uccidevano con i picconi”. Kabobo, si legge nelle motivazioni della sentenza, quindi “colse in quel suggerimento l’occasione per ‘scaricare’ emotivamente la tensione interna causata dal rancore che egli provava nella realtà quotidiana e per dare corso alla sua volontà di imporre una svolta radicale alla situazione di abiezione che egli tutti i giorni, da alcuni mesi, viveva lucidamente”.
I giudici della seconda sezione della Corte d’Assise (presidente Anna Conforti, a latere Fabio Tucci) avevano riconosciuto all’immigrato soltanto un vizio parziale di mente, condannandolo anche, come già stabilito in primo grado, a 3 anni di casa di cura e custodia. Una misura di sicurezza a pena espiata e applicata per la “pericolosità sociale“. Kabobo aveva spiegato ai periti di “sentire ‘vocì” che “avevano contenuto consolatorio”. Nelle motivazioni della sentenza vengono riportate, quindi, alcune dichiarazioni rese dall’uomo sulle sue allucinazioni uditive. “Mi dicevano e mi chiedevano di stare tranquillo perché tutti i miei problemi si sarebbero risolti – aveva spiegato Kabobo ai periti -. Non credo che siano spiriti maligni, anzi secondo me erano buoni perché mi tranquillizzavano e mi dicevano che prima o poi le cose migliorano”. Le ‘voci’ lo avrebbero quindi convinto di essere “il creatore del mondo”. “Queste voci mi dicevano che la popolazione africana, la parte del Nord, anche loro stavano uccidendo le persone con i picconi – aveva detto il ghanese – quindi mi sono sentito anche io di fare la stessa cosa”. Le allucinazioni uditive, annotano i giudici, “non stabiliscono che Kabobo debba aggredire e uccidere, ma si limitano a ‘suggerire’ una determinata condotta”.
L’imputato, che secondo i giudici aveva una “residua capacità di autodeterminazione”, avrebbe agito “in analogia a quanto gli narrano le ‘voci’ ma nel perseguimento dei suoi lucidi obiettivi” e la sua “determinazione a uccidere alberga nel sentimento di rancore che lo assediava e non nel soggiacere alle ‘voci”. L’immigrato, infatti, ha dichiarato: “Visto che sono io il creatore e poi dormivo in mezzo alla strada, avevo freddo, non avevo da mangiare (…) tutti questi problemi io li ho accumulati e mi hanno condotto a fare tutto quello che ho fatto”.