Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono oltre 100 milioni nel mondo le donne e le ragazze che hanno subito la pratica delle mutilazioni dei genitali e circa 3 milioni ogni anno quelle a rischio
Sono oltre 100 milioni nel mondo le bambine e le donne che hanno subito la pratica delle mutilazione genitale (Mgf), ossia una rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni e circa 3 milioni quelle a rischio nei prossimi 10 anni. Queste le stime diffuse dall’Organizzazione mondiale della sanità e rese note in occasione della XII Giornata Mondiale indetta dall’Onu per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili del 6 febbraio. Le Mgf vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni ma l’età può essere ancora più bassa e in alcuni Paesi vengono operate a un anno di vita o persino neonate di pochi giorni. Sebbene l’Africa resti il continente in cui il fenomeno è più diffuso, la pratica è estesa anche in Medio Oriente, nei Paesi asiatici e in alcune regioni dell’India e si sta rapidamente diffondendo anche in Europa e in Italia.
“Questa tendenza conferma la necessità di fare il punto sulla Convenzione di Istanbul, il primo trattato a riconoscere l’esistenza della Mgf anche in Europa – afferma Pia Locatelli, coordinatrice del Gruppo di lavoro parlamentare “Salute sessuale e diritti delle donne” che, insieme all’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), ha organizzato per il sei febbraio alle 11.30, presso la sala stampa della Camera dei deputati, l’incontro “Le mutilazioni genitali femminili in Europa: la convenzione di Istanbul per contrastare il fenomeno”.
“La Convenzione”, dice Locatelli, “è lo strumento più completo che abbiamo nella lotta contro la violenza sulle donne e le mutilazioni genitali femminili. Una violenza subdola perché nella maggior parte dei casi non è percepita come tale dalle vittime che, al contrario, la considerano rito iniziatico per entrare a pieno titolo nella comunità.
E’ un tema sul quale l’Italia è stata da sempre in prima fila. Non a caso siamo stati l’unico Paese ad approvare una legge contro le Mgf, che non solo le definisce un reato ma che prevede attività di prevenzione per le quali venne previsto un finanziamento di 5 milioni di euro l’anno a partire dal 2006. Questo finanziamento però, dal 2012, è stato interrotto e il nostro primo impegno deve essere quello di reintrodurlo”.
Sulla stessa linea Maria Grazia Panunzi, presidente Aidos, che si occupa di contrasto alle Mgf da più di 30 anni. “A livello europeo e italiano – afferma – abbiamo attivato una vera è propria rete di per costruire un ponte tra i paesi in cui le Mgf sono diffuse e le comunità migranti coinvolte in Europa. Per fare questo è necessario l’impegno delle istituzioni nel contrastare la pratica delle mutilazioni sia in termini di indirizzo programmatici che in termini finanziari”. Sempre in occasione del 6 febbraio, a Roma, il professor Aldo Morrone, presidente dell’Istituto Mediterraneo di Ematologia, organizza il seminario “Protagoniste del proprio corpo e del proprio futuro: la lotta alle Mgf” (ore 9.00, presso l’Auditorium del Ministero della Salute, Lungotevere Ripa 1, Roma).
“Secondo il Parlamento Europeo il numero di donne provenienti da Paesi a forte tradizione escissoria, già sottoposte a una forma di Mgf, si aggira intorno alle 500.000 unità, mentre sarebbero 180.000 le bambine a rischio di subire la pratica ogni anno”, dice Morrone. “Per quanto riguarda l’Italia, le statistiche più recenti parlano di circa 39.000 donne sottoposte a una qualche forma di mutilazione nei loro Paesi di origine. Negli ultimi anni, i dati segnano una significativa decrescita, soprattutto nei paesi dove si è investito su istruzione e formazione. Al di là di leggi o di direttive transnazionali – come l’approvazione unanime della Risoluzione ONU che prevede la messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili – è soprattutto grazie a scolarizzazione, campagne culturali e di sensibilizzazione, che si possono ottenere risultati significativi. Per questo – conclude Morrone – tutti i governi, le Ong e le comunità coinvolte devono impegnarsi a promuovere un cambiamento sociale positivo attraverso programmi e politiche mirate all’eliminazione delle mutilazioni come a tutte le altre forme di violenza contro le bambine, legate a norme sociali”.