La ‘ndrangheta ha la piena disponibilità di tritolo. Per l’ennesima volta, un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria svela come le famiglie mafiose trafficano il Tnt proveniente dalla ‘Laura C‘, la nave da guerra (affondata al largo della jonica) che nella stiva contiene tonnellate di esplosivo. Una sorta di “supermaket del tritolo” lo definisce il procuratore Federico Cafiero De Raho a margine della conferenza stampa del 5 febbraio per illustrare i dettagli dell’operazione contro la cosca Franco-Murina, una costola della più nota famiglia Tegano di Archi. Otto persone sono finite in carcere con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di esplosivo e droga.

Al centro dell’indagine, denominata “Tnt 2”, c’è un furto di 10 formelle di tritolo e il tentativo della cosca Franco di recuperarlo. Tentativo che sarebbe riuscito se non fossero intervenuti i carabinieri a sequestrare i due chili di esplosivo e ad arrestare Domenico Battaglia, conosciuto come “Mimmo”. Quest’ultimo, infatti, assieme a un complice, Roberto Berlingeri, aveva rubato il tritolo che apparteneva allo “zio Pino”, Giuseppe Franco fratello del boss Michele detenuto. Un furto ricostruito nei minimi particolari grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dalla Procura.

La cosca Franco pretendeva la restituzione del Tnt a tutti i costi. L’argomento è stato più volte affrontato da tre indagati vicini alla cosca che, non sapendo di essere ascoltati dagli inquirenti, dopo l’arresto di Battaglia (avvenuto nel 2012) si erano preoccupati che il ladro potesse decidere di collaborare con la giustizia. Nella sua abitazione i carabinieri avevano trovato quasi due chili di tritolo ‘C4’ e cinque detonatoti, modello ‘R41’ e ‘R42’. “Digli che suo zio ha i cosi che gli pendono”, è il messaggio che Battaglia aveva inviato dal carcere attraverso la moglie al nipote Stefano Porchi, anche lui arrestato, per rassicurare la cosca circa il fatto che non si sarebbe pentito.

Pochi giorni prima del suo arresto, Battaglia e Berlingeri, autori del furto, avevano subito un primo pestaggio da parte della cosca che li aveva prelevati per strada e portati in un capannone dove sono stati nuovamente malmenati nel tentativo di recuperare il tritolo rubato. Pestaggio al quale avrebbe partecipato anche un noto imprenditore reggino oggi arrestato, Filippo Gironda, ritenuto dagli inquirenti espressione della cosca Franco. “L’esplosivo – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – era riconosciuto essere dello stesso tipo di quello rinvenuto nelle stive della nave ‘Laura C’, affondata durante l’ultimo conflitto mondiale nei fondali antistanti Saline Joniche”.

“Gli accertamenti – spiega il procuratore Cafiero De Raho – hanno dimostrato che il tritolo che è sulla nave è nella disponibilità della ‘ndrangheta. In questo caso parliamo della cosca Franco legata ai Tegano, ma in tante altre occasioni il tritolo di quella nave è stato utilizzato. La ‘Laura C’ si conferma il supermarket della ‘ndrangheta”. Oltre agli arresti, il pm Stefano Musolino che ha coordinato le indagini, ha chiesto e ottenuto il sequestro di alcune imprese, numerosi immobili, beni mobili, autoveicoli, rapporti bancari e prodotti finanziari, per un valore di circa 10 milioni di euro.

L’inchiesta “Tnt 2” è riuscita a fare luce anche su un grosso traffico di droga che fruttava decine migliaia di euro alla cosca Franco-Murina, i cui vertici Michele Franco e il genero Carmelo Murina da anni sono detenuti. Stando alle indagini, il loro posto è stato preso da Giuseppe Franco, figlia e moglie dei due capicosca. A lei gli affiliati erano tenuti a portare fino a casa i proventi del traffico di marijuana. “Dice mio marito se gli hai mandato i soldi”. È la frase pronunciata dalla donna al nipote arrestato Massimo Murina per invitarlo al deposito delle somme ricavate dallo spaccio.

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