Non è sempre facile strappare alla vita farraginosa di oggi il tempo per dedicarsi allo yoga. Molti praticanti si accontentano della lezione settimanale al proprio centro yoga e pochi sono quelli che riescono a frequentare due sedute la settimana. Eppure, andando avanti nella pratica e desiderando scoprirne i segreti, è facile comprendere come la yoga abbia bisogno di tempo per essere vissuto a pieno.

E se per mille ragioni di lavoro o famiglia è impossibile frequentare le lezioni di yoga tutti i giorni, pratichiamo a casa da soli. Nel nostro salotto non c’è la guida sapiente dell’insegnante e neanche la magia della pratica comune, ma ne vale lo stesso la pena.

Certo, bisogna trovare quindici minuti ogni giorno. Può non essere facile, ma quante volte ci si sente dire “Io non ho tempo” per praticare yoga, andare al cinema, incontrare gli amici, leggere un libro e poi sentiamo la stessa persona commentare l’ultima puntata di X Factor? La complicata vita di oggi ci impone di scegliere tra cosa è davvero importante e cosa no; non è necessariamente un male.

Detto questo, per volontà o fortuna immaginiamo di essere in possesso di questi famosi quindici minuti al giorno. Naturalmente, sarebbe meglio se fossero la mattina prima di colazione. Altrimenti, cercheremo di sfruttare al meglio qualunque spazio la giornata possa offrirci.

In un quarto d’ora di pratica casalinga si possono ripetere le sequenze di asana, i pranayama, gli esercizi di meditazione imparati a lezione. Il modo più semplice per impiegare questo tempo è probabilmente quello di mantenere a lungo quegli asana che giocoforza durante la lezione vengono eseguiti più velocemente di quanto dovrebbero, ad esempio le posizioni capovolte.

yoga

L’insistenza sull’asana aiuta il corpo a prendere lentamente memoria della postura, ad assimilarla senza forzare.

Ma soprattutto la sessione quotidiana di yoga abitua il praticante a girare “all’interno” gli occhi dell’attenzione, trovare quello spazio interiore che permette al nostro ingombrante Io di fare un passo indietro e consentirci di osservare, senza cercare di forzarlo né giudicarlo, il nostro paesaggio mentale.

È quel caos continuo di propositi, obiettivi, desideri che ci rende spesso schiavi della persona che riteniamo di essere. Lo yoga è in grado di farci comprendere che noi non siamo il nostro paesaggio mentale, che la nostra felicità non dipende necessariamente da tutti gli elementi che lo compongono.

Per arrivare a questo, è indispensabile compiere un piccolo passo indietro all’interno di noi stessi, mettere una distanza tra noi e il nostro paesaggio interiore, diventare un osservatore che non interviene, non giudica, ma semplicemente si guarda. Lo yoga chiama questa figura di testimone non giudicante “Drashta”.

Tralasciando qui le immense conseguenze che la conquista del ruolo dell’osservatore può rivestire in modo diverso per ciascun praticante (l’approdo a un più profondo stato di introspezione psicologica, il rafforzarsi di un legame con gli altri esseri umani e il cosmo, l’inizio di un percorso devozionale), si sottolinea qui come lo yoga (che letteralmente significa, “legare”, “unire” in sanscrito) sia proprio l’unione tra mente, corpo e anima in contrapposizione a tutto quanto è legato alla materialità e all’esteriorità.

Al di là quanto possa essere tonificante rimanere in forma attraverso gli asana, l’aspetto mentale è nello yoga ciò che davvero conta. È per questo che risulta incomprensibile a coloro che gli si avvicinano senza le necessarie concentrazione e perseveranza.

Il tempo è la porta che dà accesso alle profondità dello yoga. In cambio il praticante acquista quella chiarezza mentale e la capacità di agire con distacco verso le proprie azioni – tipica applicazione nella realtà del concetto di “osservatore” di cui dicevamo poco sopra. E tra le altre, queste sono vere e proprie armi segrete con cui affrontare, con più consapevolezza e sicurezza, anche la farraginosa vita di ogni giorno.

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