Come può accadere che un film di quasi tre ore in cui non succede praticamente niente di “spettacolare” inchiodi alla poltrona? A me è successo con “Boyhood“, che più che un film è un coraggioso esperimento. Quello che lo rende appassionante è proprio l‘assoluta normalità della vicenda che racconta (un po’ come – nella narrativa – accade per “Stoner” di John Williams), 12 anni di vita di un bambino che poi diventa adolescente nell’America di oggi.

La scelta registica di girare il film lungo una lavorazione di 12 anni veri e quindi di usare gli stessi attori che cambiano veramente è potente, perché ti mette di fronte senza scampo alla crucialità di quegli anni in un ragazzino e alla responsabilità che si ha, come genitori, nel saperla cogliere e nel saper stare al passo a quegli impetuosi cambiamenti. È come se il tempo, nelle età della vita, scorresse a velocità diverse.

Tra il Mason bambino e il Mason diciottenne che va al college c’è un abisso di cambiamenti che si evidenziano certo nel diverso aspetto fisico, ma che soprattutto sono cambiamenti interiori, nei quali giocano un ruolo fondamentale anche le scelte, gli errori degli adulti che lo circondano. Per gli adulti, invece, in quegli stessi 12 anni, i cambiamenti sembrano limitarsi a rughe, chili in più e forse un po’ più di saggezza. C’è una frase della madre di Mason, verso la fine del film, che mi ha colpito molto: “Credevo di avere più tempo”, dice, mentre il figlio prepara gli scatoloni per lasciare il “nido” e volare nella vita di adulto del college.

Ecco, noi genitori, spesso, abbiamo l’errata percezione di “avere tempo”: in mille faccende affaccendati, spesso dimentichiamo che sotto i nostri occhi sta correndo un treno ad alta velocità che corre dall’infanzia all’adolescenza.

Se un film può insegnare qualcosa, “Boyhood” a me ha ricordato che mia figlia, che ha sette anni, da oggi si metterà a correre, infilandosi in quella dimensione temporale velocissima, in cui i cambiamenti saranno impetuosi e che fonderanno la persona che sarà. E che su noi genitori grava la responsabilità di ricordare che ogni parola detta, non detta, che ogni azione o inazione finisce dentro quella specie di vortice rapidissimo, in maniera pressoché irreversibile.

Me ne devo ricordare ogni giorno, che il suo tempo corre veloce, che certo io non potrò stare al passo, che è una sfida difficile ma anche appassionante e bella, che ti mette in gioco ogni giorno come persona, come coppia, come famiglia. Provare a correre, fare di tutto, per evitare, fra 12 anni, di dire “credevo di avere più tempo”.

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