Il copyright resta loro. Diritto d’autore garantito per Antonio Razzi, Domenico Scilipoti e la ventina di parlamentari che il 14 dicembre del 2010 votò la fiducia a Silvio Berlusconi, appena abbandonato da Gianfranco Fini. Ma ogni legislatura ha la sua pena. E nonostante il ministro Maurizio Lupi, che della materia è esperto, abbia già avvertito “di responsabili si muore”, anche stavolta si è aperta la caccia grossa alle “persone consapevoli delle responsabilità verso l’Italia” (parla Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd). Troppi tumulti nel centrodestra, troppo ondivago quell’Angelino Alfano che un minuto strizza l’occhio a Berlusconi e quello dopo accavalla le gambe sulla poltrona del ministero dell’Interno. Così, l’elezione del presidente della Repubblica è stata occasione ghiotta per tastare quanto fosse friabile l’opposizione di alcuni. E la pattuglia dei responsabili 2.0 s’è fatta avanti.
Alcuni non la fanno troppo lunga: i sei senatori di Scelta Civica (Mario Monti escluso) hanno annunciato ieri il passaggio al Pd. Altri si appalesano con un tweet (quelli dell’ex M5S, ora gruppo Autonomie, Lorenzo Battista sono stati felicemente notati), ma più spesso prediligono l’antica nota alle agenzie. Sei ex grillini hanno pubblicamente dichiarato il loro voto per Mattarella: Alessandra Bencini, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella, Monica Casaletto, Cristina De Pietro e Luis Alberto Orellana. L’ultimo, già nell’ottobre scorso, salvò il governo con il suo voto sulla nota di variazione al Def. Altri tre ex M5S (Adele Gambaro, Paola De Pin e Marino Mastrangeli), un anno prima, avevano già detto sì a una fiducia posta dal governo Letta.
Nel Pd, però, i più ritengono che il sostegno della pattuglia che ha rotto con Grillo starebbe in piedi solo nel caso di un cambio di orientamento del governo Renzi: un nuovo progetto rivolto a sinistra, immaginano, che possa ristabilire un dialogo con Sel, proprio come è successo nel caso Mattarella. Fantapolitica, al momento. Più facile guardare a destra. Se i retroscena raccontano di un Denis Verdini già al lavoro per garantire voti sulle riforme, anche nel lato destro dell’emiciclo di palazzo Madama (quello dove i numeri sono più risicati) il governo di Matteo ha già visto alzarsi mani pronte a sostenerlo. Almeno 11. Sono quelle dei senatori Ncd che – mentre Alfano accusava il colpo del metodo Mattarella – non perdevano tempo: “Pronti a votare”, facevano sapere a Renzi. Come a dire: qualsiasi cosa Angelino decida, noi siamo con te.
È su quella scialuppa che si incontra, per dire, un’altra Cinque Stelle pentita: Fabiola Anitori, che è riuscita a passare dal meet-up di Ostia alla poltrona di fianco a Laura Bianconi per “dare un sostegno forte al Governo e alla sua azione riformatrice”. Anche la Bianconi, già pasdaran berlusconiana in prima fila nella battaglia contro chi voleva staccare la spina a Eluana Englaro, ha firmato il messaggio in bottiglia a Renzi. Sono in compagnia di una serie di senatori ad alto tasso di coerenza. Giuseppe Pagano e Salvatore Torrisi, per esempio: due di parola. Dicevano ad agosto, neanche quattro mesi prima dell’addio: “Siamo e resteremo assolutamente leali con il nostro leader Silvio Berlusconi”. Un altro è Giovanni Bilardi, ex Gal ora in Area Popolare (il nome dei gruppi unificati di Ncd e Udc). Nel 2013 faceva gli auguri di compleanno a Silvio Berlusconi assicurando che “ne sosterremo la linea politica”. I Cinque Stelle all’inizio della legislatura avevano scritto al presidente del Senato Pietro Grasso: trovavano inopportuno che in commissione Antimafia, fosse stato nominato uno come Bilardi, “già consigliere regionale per la Lista ‘Scopelliti Presidente’, della quale è stato coordinatore e capogruppo, indagato dalla Procura di Reggio Calabria per peculato , falso e truffa”. Guai che capitano in Calabria, direbbe Pietro Aiello: la Dda lo voleva arrestare con l’accusa di voto di scambio aggravata dalle modalità mafiose. Avrebbe incontrato un boss di una cosca prima delle regionali 2010, ma il gip lo ha lasciato in libertà: non c’è prova delle promesse fatte in cambio di voti.
Poi c’è Antonio Gentile: Renzi lo fece sottosegretario, ma fu costretto a dimettersi praticamente all’istante: il quotidiano l’Ora della Calabria non uscì in edicola con la scusa di un guasto alle rotative il giorno in cui doveva pubblicare la notizia che suo figlio era indagato. Più di dieci anni prima, Gentile si era fatto notare per una raccolta firme: chiedeva il Nobel per la Pace a Berlusconi. Quanto a piaggeria, resta lontano in classifica da Guido Viceconte, anche lui potenziale responsabile. A fine agosto 2002, si cimentò col jogging a Villa Certosa. Finì con una settimana a letto per un colpo della strega. Caso a parte, quello di Ulisse Di Giacomo: fu lui a subentrare a Berlusconi dopo la decadenza. All’epoca era già Ncd e ora sarebbe pronto a salvare Renzi. Infine, Federica Chiavaroli, autrice dell’emendamento che riduceva i soldi ai Comuni che boicottavano le slot machine. Disse Renzi: “È pazzesco, allucinante. Una porcata”.
da Il Fatto Quotidiano del 6 febbraio 2015