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Mattarella, quando il presidente propose il carcere per gli appelli tv per Berlusconi

Un anno dopo le dimissioni da ministro contro la legge Mammì, l'esponente della sinistra democristiana depositò un testo di legge che prevedeva l'arresto per chi faceva propaganda elettorale in tv e il ritiro della concessione a trasmettere. Il testo, firmato anche da Casini, non è stato mai discusso. E sulle reti Fininvest, da Mike Bongiorno a Vianello, si moltiplicarono gli inviti a votare Forza Italia
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Mike Bongiorno, Alberto Castagna, Raimondo Vianello – fosse stato per lui – sarebbero finiti dietro le sbarre insieme a Silvio Berlusconi. Sergio Mattarella, l’ex dc salito al Colle per fare l’arbitro della Costituzione, nel 1991 propose una legge che prevedeva l’arresto per chi faceva propaganda elettorale in tv e il ritiro della concessione a trasmettere per chi contravveniva. Mezza Fininvest, se fosse passata, sarebbe finita alla sbarra. A rendere attualissime, per certi versi surreali, quelle carte ingiallite è il fatto che proprio sul nome di Mattarella s’è frantumata Forza Italia: i parlamentari azzurri, disobbedendo all’indicazione di partito, hanno votato un presidente che – giusto un quarto di secolo fa – avrebbe messo in galera il loro leader. Figurarsi la sua propensione, un domani, a concedergli la grazia.

Nei giorni scorsi si è molto insistito sull’episodio delle dimissioni del 1990 quando, da ministro dell’Istruzione, lasciò l’incarico per protestare contro la legge Mammì che avrebbe legittimato ed edificato le fortune televisive di Silvio Berlusconi. Come andò a finire quella storia si sa, meno noto è cosa fece allora “l’on. Matterella Sergio”. Si arrese? Niente affatto.  Un anno dopo, da parlamentare, presenterà un testo che già nel titolo suona come una dichiarazione di guerra: “Misure urgenti per la disciplina della propaganda elettorale con riferimento al sistema delle telecomunicazioni di massa”. Mattarella lo presenta il 18 ottobre 1991 ma il testo non sarà neppure discusso, il governo cadrà di lì a poco. Il deputato Dc sarà però rieletto il 15 aprile 1992 e dopo neppure un mese tornerà alla carica. Il 6 maggio depositerà un testo-fotocopia che farebbe venire i capelli dritti ancora oggi dalle parti di Arcore (leggi il testo).

Secondo il giurista, erano in gioco i valori alla base di una autentica democrazia: “Il problema – scriveva Mattarella –  è il modo stesso di formazione del consenso, se a seguito di un libero di battito e confronto di idee e valori oppure in funzione del potere di acquisto di chi, avendo più disponibilità finanziarie, riesca ad usufruire maggiormente delle opportunità offerte dal sistema delle comunicazioni, traducendo così una maggiore disponibilità di denaro in una maggiore disponibilità di voti”. Una prefigurazione che sarà ignorata per i successivi vent’anni, con esiti infausti per l’Italia.

Il problema era evidente a tutti, catapultato dal piccolo schermo nelle case degli italiani. Le elezioni europee e politiche erano alle porte e sulle reti Fininvest imperversavano gli spot per Craxi, poi seguiti dagli endorsement dei volti noti del Biscione direttamente a favore del padrone di casa: Mike Bongiorno, Vianello, perfino Ambra si profondevano in appelli al voto per la nascente Forza Italia. Mattarella era convinto che questa situazione potesse “alterare la competizione e la genuinità del consenso elettorale”. Studia a fondo le norme, rileva che esistono limiti ma nessuno li rispetta. C’è una legge del 1956 che vieta la propaganda preferenziale, cioè diretta al singolo candidato mediante vari mezzi tra cui la tv. “Tale normativa è però ampiamente disattesa”, scrive il politico siciliano. Peggio, il ricorso a strumenti di pubblicità elettorale è disciplinato esclusivamente da una semplice circolare del ministero dell’Interno. Un vuoto normativo che favorisce Berlusconi e che Mattarella si propone allora di colmare “in attesa di una disciplina complessiva dei rapporti tra politica e pubblicità”.

E allora, ecco i quattro articoli che per il futuro Capo dello Stato – allora cinquantenne – dovevano arginare lo strapotere che si stava cementando per via catodica. Il primo stabilisce il divieto di fare propaganda a trenta giorni dal voto, il terzo prevede “la reclusione fino a un anno e la multa da 500mila lire a 10 milioni per i soggetti che contravvengono”. Il re dell’emittenza privata sarebbe stato colpito dall’articolo 4 che oltre alla sanzione penale  aggiunge anche la “soppressione dell’efficacia della concessione” per il titolare. In pratica, l’oscuramento che il Biscione avrebbe poi evitato in tutti i modi. Il testo viene sostenuto e firmato, tra gli altri centristi, anche da Pierferdinando Casini che poi sarà fatalmente risucchiato dall’orbita di Berlusconi. La proposta non sarà mai votata. Nel 1995 Mattarella torna alla carica, stavolta come cofirmatario di un testo che non prevede sanzioni penali. Non passerà neppure questo.

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