Qualche giorno fa vi ho raccontato la sua storia: Bob Rugurika è un giornalista. Un giornalista con la schiena dritta, che ama la sua professione e la mette al servizio della verità. Bob è direttore di Rpa, la Radio Publique Africaine di Bujumbura. È lui, col suo staff, che ha sollevato il velo su mandanti e moventi dell’omicidio delle tre missionarie italiane Olga, Lucia e Bernardetta. E ne sta pagando le conseguenze. Convocato dalla polizia e poi arrestato il 20 gennaio, è stato detenuto per due giorni nel carcere della capitale e poi trasferito in un’altra struttura in quella che lì chiamano cella “di correzione”, dove, secondo le associazioni per i diritti umani, era a rischio di torture fisiche e psicologiche.
Durante il tragitto, avrebbe domandato ai carcerieri: “Mi ucciderete?”. Non è una domanda peregrina. Bob è ben consapevole di aver pestato piedi importanti. Ma ciò nonostante ha mantenuto fede alla deontologia e alla sua coscienza, dicendosi pronto a subire le conseguenze del suo lavoro. È formalmente accusato di quattro capi d’imputazione, fra cui il più grave è quello di complicità in omicidio, semplicemente perché si è rifiutato di rivelare l’identità della fonte anonima su cui si impernia l’inchiesta. Il testimone, nel suo racconto registrato e mandato in onda dalla radio, diceva anche di essere in fuga dopo un tentativo di assassinio da parte dei suoi ex complici. Come possono le autorità pretendere che un giornalista metta a rischio una sua fonte?
L’enorme clamore suscitato dall’arresto di Bob e gli echi internazionali della vicenda hanno fortunatamente consigliato alle stesse autorità di non eccedere e così, dopo qualche giorno, il suo isolamento è stato mitigato, gli è stato consentito di vedere i familiari e ha pure potuto rilasciare un’intervista a RFI, Radio France International, evidentemente allo scopo di mostrare al mondo che era trattenuto in buone condizioni.
Tuttavia, mercoledì scorso, 4 febbraio, la giustizia burundese ha deciso di prorogare la detenzione provvisoria del giornalista, che tra l’altro per la legislazione in vigore è riservata a casi particolarmente gravi.
Giornalista dal 2004, giurista di formazione, Bob Rugurika è direttore di RPA dallo scorso aprile. Da subito aveva dichiarato che la linea della radio non sarebbe cambiata: “RPA è la radio dei senza voce. I governanti devono rendere conto delle loro azioni”. Lo aveva detto e ora mantiene fede alle sue parole.
E noi? In attesa di una presa di posizione ufficiale del nostro governo, c’è un piccolo gesto che possiamo fare: una firma. Il giornale online Iwacu, altro baluardo della (rischiosa) libera informazione in Burundi, ha avviato una raccolta di firme online. Come italiani e concittadini delle tre donne uccise, potremmo far sentire la nostra vicinanza a Bob e – contemporaneamente – esercitare un minimo di pressione, che – giungendo dall’esterno – può non essere del tutto irrilevante. Se volete, eccovi il link: liberté pour Bob!