I due leader hanno incontrato Putin a Mosca per negoziare sulla crisi di Kiev, senza chiamare l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza. Che non sembra aver fatto breccia nelle diplomazie di qua e di là del Reno
Cercasi lady Pesc disperatamente. Non fidandosi delle doti diplomatiche di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno risfoderato la “diplomazia segreta” tanto in voga negli anni della Guerra Fredda e sono andati a Mosca per incontrare Putin, in un faccia a faccia molto teso sulla questione dell’Ucraina e i rischi di una guerra allargata, giacché la Nato ha blindato nel frattempo il fronte orientale dell’Alleanza Atlantica e il segretario di Stato John Kerry promette di aiutare militarmente Kiev. Una missione top secret, quella della Merkel e di Hollande, che ha clamorosamente bypassato Bruxelles e irritato la Casa Bianca. La Mogherini ha dovuto incassare. E dichiarare a denti stretti che la visita franco-tedesca andava “nella direzione di una soluzione politica del conflitto”.
L’intento del blitz diplomatico è abbastanza lineare con la posizione cauta di Parigi e Berlino a proposito di eventuali forniture d’armi Usa per combattere i ribelli filorussi dell’Ucraina orientale: secondo indiscrezioni apparse sulla stampa tedesca e su quella russa, il piano franco-tedesco punterebbe ad anticipare le mosse di Washington, ed offrire al Cremlino un accordo in cui la priorità sarebbe quella dell’immediato cessate il fuoco, nonché l’arretramento delle armi pesanti (la Nato aveva segnalato un inquietante incremento di blindati e carri armati) e la mobilitazione di un contingente internazionale di pace (eventualmente caschi blu dell’Onu).
Per disinnescare il conflitto nell’Ucraina dell’Est non è più tempo di chiacchiere a vuoto, devono aver pensato la Merkel e Hollande, bisogna agire, mettere sul piatto della bilancia il peso dei nostri Paesi, la loro influenza, e la nostra collaudata esperienza politica.
Doti che la Mogherini si deve conquistare sul campo, e negli anni. Nell’aprile dello scorso anno, quando era ancora freschissima ministro degli Esteri nel governo Renzi, aveva dichiarato (in un incontro col Foglio) che “una Nato aggressiva non serve a nulla con Putin” e che nel pasticcio ucraino la posizione della Farnesina teneva conto che “non si può ragionare solo parlando di buoni e cattivi”. In questo mondo ci sono “tante situazioni complesse da affrontare con lungimiranza e con un atteggiamento cooperativo”, aveva detto, sostenendo che per risolvere la crisi ucraina occorreva investire “sull’interesse comune” degli interlocutori che si affrontano durante le trattative. Così, si creano “win-win situation”, ossia tutti portano a casa qualcosa e le crisi rientrano. Ribadiva: “Non è la Nato il terreno più utile per risolvere la crisi, anche per non farla sembrare antagonista”. Dunque, meglio puntare sulle istituzioni internazionali.
Bello. In teoria. Nella pratica, la “dottrina Mogherini” non sembra aver fatto breccia nelle diplomazie di qua e di là del Reno: la Merkel e Hollande hanno spiazzato tutti, puntando sulla diplomazia e il buon rapporto con Mosca. Addirittura, a metà gennaio, si era ventilata l’ipotesi di un incontro Merkel-Putin in Kazakistan, ma la cancelliera e il suo ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier avevano deciso di soprassedere, di attendere cioè il summit di Minsk, per tentare di bloccare le ostilità in Ucraina.
Sabato 31 gennaio, a Minsk, il fallimento delle trattative e il contemporaneo riprendere vigore dei bombardamenti aveva invece fatto saltare il banco, complice probabilmente l’estensione delle sanzioni contro la Russia. E la paranoia dell’assedio: poco tempo fa, il presidente russo, come riportato dai giornali di Pietroburgo e Mosca, aveva detto, parlando davanti ad un gruppo di studenti: “L’esercito ucraino non è un vero esercito, è semmai una legione straniera. La legione straniera della Nato”.
Non è poi così semplice gestire una situazione in cui la Russia ha pur sempre, nei confronti dell’Europa – in particolare di Germania, Italia, Olanda e Francia – una posizione di forza. Putin può chiudere il rubinetto del gas e del petrolio che alimenta un terzo delle necessità energetiche europee, se messo alle strette. Sulla scommessa Ucraina il capo del Cremlino ha puntato forte, anche per controbilanciare le problematiche interne: il calo drammatico del rublo e della Borsa di Mosca, il crollo del prezzo del greggio, le restrizioni commerciali hanno contribuito alla frenata economica, all’aumento della disoccupazione, all’incremento dell’indebitamento di imprese e famiglie, tant’è che il 30 gennaio la banca centrale russa ha abbassato il tasso di sconto dal 17 al 15 per cento, per “prevenire una caduta importante dell’attività in un contesto di fattori esterni negativi”, riferendosi alle sanzioni occidentali legate alla crisi ucraina e al ribasso petrolifero. Le previsioni, infatti, dicono che il prodotto interno lordo subirà una contrazione almeno del 3,2 per cento nel primo semestre del 2015.
E’ su questi tasti che avranno premuto Hollande e la Merkel, tenuto conto che in fondo è stato lo stesso Putin a coinvolgerli per sbloccare i colloqui di pace tra le parti impegnate nella guerra – perché di guerra si tratta, non nascondiamoci dietro sinonimi che sono omissioni – nell’est dell’Ucraina. Lo ha fatto il primo gennaio, chiamando al telefono sia la cancelliera tedesca che il presidente francese. Non ha telefonato a Lady Pesc.