Intervengo per la terza volta sul caso del rapimento e dell’omicidio di Yara Gambirasio. Corre l’obbligo di evidenziare come il processo penale non accetti quella sorta di metafisica delle certezze che parte della propaganda suggerisce, rivisitando in chiave giustizialista le parole del grande filosofo Hanna Arendt che ha stigmatizzato un deriva comunicativa costituita da “una sorta di mentalità da ragione di Stato”.
Questa rischia di mascherare e rendere non intellegibile il vero dramma del processo: il suo fondarsi su elementi che null’altro sono se non una timida rievocazione di una serie di fatti irriproducibili al momento del giudizio e che tentano invece di essere rievocati in un’operazione di riattualizzazione assai complicata e che si vorrebbe certa. Dopo aver sottolineato nei precedenti interventi gli enigmi scientifici e le possibili conseguenze giuridiche di questa vicenda paradigmatica, ho raccolto talune valutazioni derivanti dall’osservazione dei dati naturalistici.
Riporto quanto evidenziato dalla criminologa clinica Ilaria De Pretto: “Yara pare essere stata trovata in quel campo sdraiata, con la schiena a terra, vestita. Presenterebbe svariati colpi di arma da taglio ma probabilmente nessuno mortale. Questo può suggerire che la ragazza non sia morta per l’aggressione in senso strettamente omicidiario. Tale condizione potrebbe far pensare ad un reato diverso, quanto meno rispetto all’omicidio volontario o premeditato. Si potrebbe ad esempio trattare di un delitto preterintenzionale o di un’ipotesi di morte a seguito di altro reato, forse addirittura ad un abbandono di persona incapace. Certamente, allo stato, l’omicidio volontario, ipotesi per la quale il sospettato è in carcere, è tutta da dimostrare. Inoltre, sino ad ora, si è sempre ritenuto che Yara sia stata uccisa e lasciata in quel luogo sin dal tempo dell’aggressione, mesi prima. Può essere, ma è un altro elemento, da valutare attentamente: se infatti sugli indumenti della vittima è stata trovata una traccia di Dna fresco bisogna chiedersi come questo campione genetico possa aver resistito alle intemperie invernali di quella zona del nord Italia. Il dibattimento dovrà inoltre approfondire la possibilità che vi siano altre tracce umane sul corpo della vittima: potrebbe essere una circostanza che modifica grandemente la ricostruzione attuale”.
E’ evidente che, a fronte di un uomo in custodia cautelare in carcere, la vicenda porta con sé quel carattere di indecifrabilità che è tipica del processo penale e che deve far rifuggire da pericolosi pre-giudizi. Greg Hempikian del massimo organo nordamericano a tutela della correttezza dell’indagine scientifica, l’Innocence Project, richiesto di un parere da parte degli autori di questo intervento su tali circostanze, ha sottolineato come la biologia, la criminologia ed il diritto dovranno, più che mai, “fare squadra” per consentire a questa vicenda di poter presentare una soluzione giusta e, si aggiunge, che non sia presa in nome di un’esigenza di “ragione di giustizia-lismo”. Ha inoltre evidenziato come la soluzione del caso diverrà un precedente determinante nella storia della giurisprudenza sul rapporto tra scienza e processo.
Luca D’Auria con Ilaria De Pretto