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“Archistar addio”: quando progettare diventa un’attività “corale” grazie al web

Nel volume Architettura Open Source, Carlo Ratti fa una preziosa analisi di una progettazione “aperta”: "l’architetto "corale" deve essere aperto a input diversi, che oggi arrivano in modo nuovo anche grazie alle dinamiche partecipative della rete. Deve quindi essere capace di armonizzare molte voci, un po’ come un direttore d’orchestra"

di Davide Turrini

Archistar addio. Nell’architettura contemporanea sta per iniziare il grande rinnovamento che partirà dal “noi” e sempre meno dall’ “io”. A farsene carico sarà l’ “architetto corale” che interagendo con gli utenti sul web progetterà le nuove città in cui vivremo. Questa la rivoluzione intellettuale e professionale del gruppo di lavoro sorto attorno all’architetto Carlo Ratti – quattordici curatori pari grado al docente del MIT di Cambridge (Usa) – autore del libro Architettura Open Source (Einaudi). Un’agile volumetto dove l’esplorazione attenta e sintetica della storia dell’architettura novecentesca, con felici e rapide incursioni nei secoli precedenti, si fa preziosa analisi di una progettazione “aperta” da cui ripartire per teorizzare una nuova idea nell’arte del costruire.

“Il termine “archistar” ha un significato sfuggente e non lo amo: etichetta spesso progettisti dalle visioni molto diverse e con approcci opposti. Nel libro viene usato solo quattro o cinque volte”, spiega Ratti al fattoquotidiano.it a nome di tutti e 14 i colleghi. “I difetti maggiori dell’archistar? Credo che la differenza sia tra l’ascoltare e il non ascoltare, tra il mettere e il non mettere la persona al centro del proprio modo di progettare – continua Ratti – Alvar Aalto era certo l’equivalente Novecentesco dell’archistar contemporaneo, ma la sua Baker House a Cambridge, con le finestre che serpeggiano guardando il fiume Charles, è forse uno degli esempi più alti di umanismo architettonico. Questo per dire che modificare il ruolo dell’architetto non significa depotenziarlo, anzi! Proprio l’idea prometeica del progettista novecentesco ne ha decretato la sconfitta: oggi gli edifici costruiti da architetti costituiscono non più del 2 per cento dell’edilizia globale”.

“Il termine “archistar” ha un significato sfuggente e non lo amo: etichetta spesso progettisti dalle visioni molto diverse e con approcci opposti” 

Renzo Piano, Santiago Calatrava, Massimiliano Fuksas e colleghi blasonati non devono quindi temere oltremodo per il loro spettacolare e brillante futuro lavorativo; anche se in Architettura Open Source viene stigmatizzato il fenomeno mediatico della star che progetta in modo spettacolare ponti, aeroporti, torri comunali: “L’architettura si è gonfiata oltre ogni limite. La professione è arrivata al parossismo (…) l’architetto si è gonfiato fino a superare i limiti spazio-temporali degli umani”, si legge nel capitolo primo. Ecco allora la formulazione di un nuovo soggetto ideatore, l’architetto “corale”, risultato di una meravigliosa cavalcata letteraria nel genio progettuale e nell’anelito umanista che va dalla costruzione collettiva della cattedrale di Chartres (illuminante l’esempio dell’apparente unità compositiva ndr), passando da Fourier e Bentham, ridando nuova vita alle ipotesi di Pessac, Habraken e agli artefici dell’Oregon Experiment, fino ad arrivare all’intuizione comunitaria del programmatore finlandese Torvald che ha inventato il software open source Linux: “L’architetto “corale” deve essere aperto a input diversi, che oggi arrivano in modo nuovo anche grazie alle dinamiche partecipative della rete”, spiega Ratti. “Deve quindi essere capace di armonizzare molte voci, un po’ come un direttore d’orchestra. Soprattutto deve essere capace di scandire il tempo al progetto: sta a lui anche capire quando è giunto il momento di chiudere e arrivare a una sintesi – continua – La rete è prima di tutto un mezzo: permette nuovi canali di comunicazione. C’è una storiella emblematica, che raccontiamo nel libro: il matematico, architetto e iconoclasta Christopher Alexander, attivista a Berkeley in California, dedicò parte della sua vita allo sviluppo di un modello di progettazione partecipativa. Dopo averlo testato all’Università dell’Oregon però si rese conto delle difficoltà cui era andato incontro. In un momento di lucidità confessò: se mettiamo più di quindici perone intorno a un tavolo diventa un casino; la partecipazione può diventare “un incubo politico e amministrativo”. Ecco: oggi la rete ci permette di mettere non 15, ma 1.500 o 15.000 persone attorno a un tavolo (virtuale), e di raccogliere e prendere in considerazione il loro input”.

“Oggi la rete ci permette di mettere non 15, ma 1.500 o 15.000 persone attorno a un tavolo (virtuale), e di raccogliere e prendere in considerazione il loro input” 

E per far capire che l'”architetto corale” non è soltanto un’ideazione concettuale di 14 autori (d’obbligo ricordarli tutti: Ethel Baraona Pohl, Assaf Biderman, Michele Bonino, Ricky Burdett, Pierre-Alain Croset, Keller Easterling, Giuliano da Empoli, Joseph Grima, John Habraken, Alex Haw, Hans Ulrich Obrist, Alastair Parvin, Antoine Picon, Tamar Shafrir) ecco le prima concreta committenza open source che sta sparigliando equilibri consolidati: “Qualche settimana fa, a Parigi, mi è stato chiesto di incontrare il vice sindaco con delega all’urbanistica, Jean-Louis Missika. Ha proposto un piano molto interessante chiamato “Reinventer Paris” per lanciare progetti di innovazione urbana a Parigi – conclude Ratti – L’idea è proprio quella di usare il crowdsourcing per grandi operazioni di trasformazione urbana. La città ha messo a disposizione oltre 20 siti (tra cui alcuni di grande valore, in pieno centro) che verranno assegnati non al miglior offerente, ma a coloro con l’idea di più innovativa – usando un processo di candidatura dal basso, che può partire da qualsiasi cittadino. E’ interessante vedere come questo meccanismo stia già scompigliando i giochi dei grandi sviluppatori nella capitale francese”.

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