L'istituzione di Washington ha calcolato che l'ammontare dei Non performing loans (Npl) si è più che triplicato dallo scoppio della crisi, passando dal 5% dei prestiti in essere nel 2007 al 16,8% di giugno 2014, per un valore di 333 miliardi. Pari al 24% del Pil italiano
Mentre il governo studia l’ipotesi della creazione di una bad bank pubblica per aiutare gli istituti a liberarsi dei crediti in sofferenza, il Fondo monetario internazionale torna a intervenire sulla questione con uno studio ad hoc sull’Italia. In cui si sottolinea che è necessario creare un mercato per la cartolarizzazione e ristrutturazione dei prestiti “malati”, in modo da eliminare dai bilanci una parte della zavorra e favorire l’erogazione di credito all’economia.
I ricercatori di Washington hanno calcolato che per le banche della Penisola il livello dei Non performing loans (Npl) – definizione che comprende non solo le sofferenze vere e proprie ma anche gli incagli e le esposizioni già ristrutturate – si è più che triplicato dallo scoppio della crisi, passando dal 5% dei prestiti in essere nel 2007 al 16,8% di giugno 2014, per un valore di 333 miliardi, pari al 24% del Pil italiano. Si tratta di crediti che non solo non generano ricavi da interesse, ma richiedono un rifinanziamento a tassi di mercato e impegnano risorse di personale e di capitale. Inoltre, visto il loro peso sul profilo di credito delle banche, aumentano i costi di finanziamento e lasciano gli istituti vulnerabili agli shock.
L’Fmi ricorda che più dell’80% dei crediti deteriorati sono legati alle imprese: in questo settore il livello di Npl è vicino al 30%, con valori notevolmente più alti nel Mezzogiorno. Peraltro i tempi di cancellazione degli Npl si sono allungati, passando dai 4 anni pre-crisi agli attuali sei: nel 2013, in media gli istituti hanno cancellato o venduto nemmeno il 10% delle sofferenze.
E’ evidente, continua la ricerca, che le banche italiane tendono a non cederli perché preferiscono attuare ristrutturazioni sul fronte dei prestiti e della raccolta. Ma questo, in uno scenario di prolungata recessione, ha mantenuto alto il livello degli Npl, portando a un’accumulazione di crediti deteriorati. Molti gli elementi che contribuiscono a questo approccio: dalla richiesta di collaterali (garanzie personali e ipoteche) ai disincentivi fiscali per le banche che cancellano i crediti deteriorati. Su tutto poi pesano le lentezze del sistema giudiziario che riducono il ritorno in caso di vendita o ristrutturazione dei crediti.
Invece, suggerisce la ricerca dell’Fmi, la creazione di un mercato di Npl consentirebbe una risoluzione più veloce e più efficiente dei questi asset tossici con benefici a livello macro, riducendo l’eccesso di debito societario e migliorando la redditività globale delle banche italiane. Lo studio ricorda l’esempio del Giappone dove – grazie anche all’intervento di un’agenzia governativa che acquistò Npl per circa 500 miliardi di dollari con uno sconto del 96% sul loro prezzo – il livello di crediti deteriorati è sceso dall’8% del 2002 a meno del 2% quattro anni dopo.