Mettici il fenomeno d’Eros mediatico 50 sfumature di grigio accanto ad Autori “assenti by definition” come Terrence Malick (per ideologia) e Jafar Panahi (per prigionia). Mettici Cinderella con Cate Blanchett a dividere il cartellone con documentari su Kurt Cobain, Nina Simone e Fassbinder. Cospargi il tappeto rosso di Nicole Kidman, Robert Pattinson, Juliette Binoche, James Franco, Christian Bale e Audrey Tautou mescolati a indigeni guatemaltechi e a geniali registi cileni, noti solo a chi soffre di cinefilia cronica. Impasta bene il tutto e otterrai Berlinale2015, meglio preceduta dall’hashtag che fa più “figo”.
Una magica epifania combinatoria che mai nelle 64 edizioni antecedenti si era presentata con un egual tasso di stracult & stracool, parole d’ordine scelte in una notte insonne a definire la kermesse berlinese in corso dal 5 al 15 febbraio. D’altra parte quale altra città al mondo, oggi, può incarnare tali categorie nella loro espressione più estrema quanto Berlino, sacrario di sofferenza storica ed emblema di una rinascita fantascientifica? Va da sé che il suo festival cinematografico – idolatrato dalla cittadinanza che si prende le ferie (beati loro che hanno un lavoro…) per non perdere i film – traduca l’anima di culto & profano all’interno di una rassegna sempre più ricca di proposte, denaro e partecipazione.
Berlinale 2015 è dicotomica nel suo essere (stra) cult & cool ma anche profondamente armonica. Incarnazioni profetiche sono la scelta di un Presidente di Giuria come il regista newyorkese Darren Aronofsky: sì, l’ombroso 45enne già abbandonato dalla fulgida londinese Rachel Weizs (per mettersi con l’attuale James Bond Daniel Craig) autore di film cult come Pigreco – Il teorema del delirio (1998) e Requiem for a Dream (2000) ma anche di blockbasteroni cool come The Wrestler (2008) e il recente biblico (e orrido) Noah. È lui l’emblema della mescolanza concorrente, con 19 film da giudicare e portare all’Eternità attraverso un l’attribuzione di Orsi d’oro e d’argento. E sarà lui – già enfant terrible che ricorda di esser stato arrestato, strafatto e sbronzo, a Berlino Est per aver “rubato” una bandierina della Budesrepublick – a decretare se quest’anno vincerà uno stracult o uno stracool, benché quest’ultima categoria – ça va sans dire – prediliga il fuori concorso giacché vive di fenomenologia endogena.
Prendiamo ad esempio il simbolo d’eccezione di quest’annata: il filmone (probabilmente un filmaccio quanto il libro che l’ha motivato) 50 sfumature di grigio. In zona festival – Postdamerplatz – non si parla di altro: ovunque campeggiano poster, locandine, cartelli plurisagomati (giammai vi dimenticaste la data fatidica d’uscita worldwide: 12 febbraio, né la premiére off competition a Berlino: 11 febbraio) del Fenomeno cine-mediatico della stagione. Non serve ricordare le copie vendute dal bestseller dell’annoiata casalinga londinese E. L. James e neppure quanto patologicamente la pellicola con i “microdivi” Jamie Dornan e Dakota Johnson (figlia di Don Johnson e Melanie Griffith) sia attesa nel mondo e dallo studio hollywoodiano Universal che ne riempirà le casse.
Ma andando a spiare all’interno delle proposte cinematografiche di Berlinale 2015, alcune delle quali abbiamo avuto già il piacere (o il dolore) di vedere, diversi “pilastri” stracult sono mirabilmente amalgamati con lo stracool, per scelta o per caso, non importa. A sintomo che alla fine le due “categorie” possono non solo coesistere ma reciprocamente mutare in un movimento continuo ed imprevedibile. Casi emblematici risiedono nell’alto tasso di protagoniste femminili dei film in concorso, specie nella prima parte del festival. Registe che si credono cult come la catalana Isabel Coixet chiamata sciaguratamente ad inaugurare la competizione con una magnifica protagonista come Juliette Binoche, gran dama del cinéma français e non solo, ridotta da lei in imbarazzo durante la conferenza stampa. “Juliette dì la verità” la intimava la Coixet, falsa come Giuda dopo aver girato un brutto film (Nobody Wants the Night) a Tenerife fingendo di essere in Groenlandia. Il finto cult diventa cool sfumato di fake, giusto per offrire un buon uso della “lingua italiana corrente”.
E se c’era una volta un’attrice supercool di bellezza mozzafiato come la britannica Charlotte Rampling ecco che la stessa è mutata in raffinato cult arrivando a Berlino con una delle pellicole concorrenti più convincenti (45 Years) a 69 anni splendidamente portati e pronta a ricevere il suo Orso d’oro come miglior attrice: finora nessuna meglio di lei. Ma i veri vincitori del cocktail stra-cool-cult a Berlinale 2015 vanno sicuramente ai grandi due registi tedeschi quest’anno mattatori del Red Carpet: da una parte il neo 70enne Wim Wenders, qui pluricelebrato di Orso alla carriera, di omaggio, candidatura all’Oscar e nuovo film in arrivo, e dall’altra il collega Werner Herzog, che ricordiamo 35enne (nel 1979) “mangiarsi una scarpa” (vedi foto stracult) per mantenere una promessa. E’ indiscutibile che i due Maestri tedeschi identifichino la memoria di un passato, la certezza di un presente (pregno di star di Hollywood) e la genialità creativa per un futuro (entrambi hanno già girato anche in 3D..) nell’Arte e nel cinema Made in Deutschland, e dunque nessuno più stracult & stracool di loro.