Cambiare lo statuto e mettere in vendita parte del patrimonio allo scopo di ripianare i debiti dell’ente, tra cui quelli generati dalla costruzione della Nuvola di Fuksas. E’ lo scopo dell’assemblea degli azionisti convocata da Eur spa per il 9 febbraio: vendere i gioielli di famiglia, un pregiato portafoglio di opere monumentali del razionalismo italiano con oltre 70 ettari di verde, uscire il prima possibile dal concordato in bianco ed evitare che parte degli edifici finiscano alle banche. “Si vende il patrimonio pubblico per pagare debiti fatti da amministratori poco lungimiranti”, protesta il Comitato di quartiere Eur. “E’ un’operazione pericolosa“, spiega Pierluigi Borghini, presidente dell’ente.
Il momento è difficile, non solo per il clamore mediatico suscitato dal coinvolgimento di Riccardo Mancini, ex amministratore delegato, e di Carlo Pucci, ex direttore commerciale dell’Ente, nell’inchiesta Mafia Capitale. Il problema è che l’ente attraversa da tempo un mare di difficoltà finanziarie che lo scorso dicembre hanno portato il consiglio di amministrazione a chiedere l’ammissione al concordato in bianco. Entro il 24 aprile gli amministratori sono chiamati a presentare al giudice delegato un piano che prevede due possibilità: la ricapitalizzazione o l’alienazione di parte dei beni. Ovvero, la vendita dei beni immobili di proprietà che sono pubblici, in quanto l’ente è al 90% controllato dal ministero delle Finanze e al 10% dal Comune di Roma. L’individuazione degli immobili da alienare è affidata a Invimit, società del Tesoro che sta censendo gli edifici che Eur Spa affitta alla pubblica amministrazione. La lista degli immobili, così come quella dei possibili acquirenti, non è ancora nota, ma una certezza c’è: si tratta di opere architettoniche di pregio dal valore elevatissimo, dagli edifici che ospitano i vari musei dell’Eur all’Archivio Centrale dello Stato. Immobili preziosissimi e vincolati.
“Ora devono evitare la bancarotta – spiegano dal Comitato di quartiere Eur, che nei giorni scorsi ha scritto una lettera a sindaco Ignazio Marino, al presidente del municipio e a Borghini per chiedere che i beni non vengano venduti – ma quando anni fa decisero di costruire la Nuvola sapevano benissimo che non c’erano fondi sufficienti. Non dovevano sperare di vendere un albergo costruito nelle vicinanze per trovare i soldi per fare i lavori (i ricavati della messa sul mercato del super hotel “La Lama” avrebbero dovuto coprire parte dei costi, ma la vendita è ferma, ndr)”.
Gli azionisti “sono convocati – come da annuncio dato sulla stampa locale – in assemblea ordinaria e straordinaria” “il giorno 7 febbraio in prima convocazione e lunedì 9 in seconda convocazione”. Quello che interessa è l’ordine del giorno della parte straordinaria: “Interventi per garantire la continuità aziendale e la copertura finanziaria delle opere in corso” e “modifica allo statuto sociale (art. 4)”. Ovvero l’articolo che elenca le attività svolte dall’ente. “Lo scopo è quello di modificare lo statuto in modo da consentire la vendita di parti del patrimonio per pagare i debiti della Nuvola”, è la voce che corre in azienda. La Nuvola, il mega polo congressuale la cui costruzione è andata avanti a singhiozzo per anni, ostacolata da un incessante fuoco di veti incrociati tra l’archistar e i vertici di Eur spa.
Di alienazioni in casa Eur spa si parla ciclicamente. “Ma questa volta c’è il concordato da rispettare. I debiti? Noi non dobbiamo ripianare le perdite – conferma il presidente Borghini IlFattoQuotidiano.it – l’Eur spa chiude da sempre i propri bilanci in utile. Solo che quando uno costruisce un edificio di quel genere e un albergo da 439 stanze, da qualche parte i soldi deve trovarli. Il Comune di Roma 10 anni fa ci ha affidato il pesante incarico di fare questa grande opera e ci ha dato circa 140 milioni sapendo che l’opera costava, da preventivo del 2006, 277 milioni. Più iva, più oneri concessori, più la parcella di Fuksas. Quindi ci ha messo sul collo 400 milioni da pagare dandocene 140. Ora ci servono 133 milioni per completare l’opera”.
I malumori in azienda serpeggiano neanche troppo silenti. Il timore è che l’alienazione di una parte degli immobili di proprietà possa avere ricadute sull’occupazione: “Se vengono venduti gli edifici che amministriamo, una parte dei dipendenti rischierà il posto”. “Sì, è una possibilità – continua Borghini – è un’operazione pericolosa, noi aspettiamo che l’azionista ci indichi la strategia per uscire dal concordato. Se gli azionisti decideranno in questo senso, mi adeguerò”.