A Roma si discute di zone a luci rosse. L’iniziativa parte dal IX Municipio e lo stesso sindaco della città la guarda con favore. L’idea, da quel che leggo, sarebbe di destinare una zona alle sex workers, le quali, in questo modo, potranno lavorare godendo di un maggiore controllo contro lo sfruttamento, l’una a fianco all’altra, a realizzare una rete solidale e con una unità di strada composta da mediatori culturali e operatori sanitari che sarà destinata per le necessità delle prostitute. Questa iniziativa, da svolgere nei limiti posti dalla Legge Merlin, si oppone alla filosofia delle ordinanze pro/decoro che i sindaci “sceriffi” destinano alla marginalizzazione e alla esclusione delle prostitute dai luoghi in cui i cittadini “perbene” non tollerano “degrado” e “indecenze”. La stessa filosofia moralista, d’altronde, sta dietro le varie iniziative, di vari gruppi del centro destra, che vorrebbero l’abrogazione della Legge Merlin e la riapertura delle Case Chiuse.
Le Case Chiuse resistono nella memoria della gente così come esiste lo stereotipo dei “bei tempi in cui si poteva dormire con la porta aperta”. Ebbene: al tempo del fascismo non si poteva dormire affatto con la porta aperta, secondo quel che mi raccontavano i nonni, e le Case Chiuse erano un luogo di sfruttamento per le sex workers. Il punto è che le varie iniziative, a parole in nome delle prostitute, non sono affatto pensate tenendo conto di quello che le prostitute vogliono. Non mi risulta che si siano rivolti, infatti, al Comitato in difesa dei diritti per le Prostitute, o che abbiano parlato con quelle che incontrano per le strade. Delle prostitute quel che interessa è che paghino le tasse senza disturbare la vista dei benpensanti e senza avere la possibilità di riorganizzarsi secondo le loro preferenze.
L’iniziativa romana, invece, pare sia stata concordata con le sex workers che sarebbero favorevoli alla cosa. D’altronde le sex workers chiedono da tempo una forma di regolarizzazione, legittimità e cancellazione dello stigma che pesa su di loro. Vorrebbero che della Legge Merlin fosse cancellato il reato di favoreggiamento che viene attribuito anche a chi affitta una casa alle sex workers, sicché devono restare in strada, in solitudine, private della solidarietà di chi invece le guarda come nemiche e private dei diritti fondamentali che vanno garantiti a qualunque persona che lavora.
All’iniziativa romana si oppongono, in ogni caso, preti, abolizioniste e politici del centro destra. Uniti tutti quanti da un sentimento solidale ad muzzum, un po’ come viene viene. Apprensivi i preti che immaginano gli uomini infettati di strane malattie. Apprensive le abolizioniste intente a veicolare la narrazione tossica sulla prostituta nigeriana. Apprensivi i politici di destra che vorrebbero, per l’appunto, rinchiudere le prostitute in luoghi lontani dalla vista dei dei bravi cittadini. Tutti sono evidentemente ispirati ad una forma di neofondamentalismo che associa, per esempio, l’abolizionismo della prostituzione all’antiabortismo. In entrambi i casi non si considerano le donne come soggetti in grado di scegliere per se’. Invece si considerano oggetti delle decisioni altrui: di paternalisti che dicono di sapere quel che è meglio per queste donne e di matriarche che dall’abolizionismo della vendita dell’alcool in poi sono ancora ligie nella sorveglianza dei pubblici costumi e della moralità sessuofoba dei cittadini.
Quello che c’è da dire è che: le sex workers, tanto per cominciare, scelgono di chiamarsi così per precisare che la vendita di servizi sessuali è un lavoro; che loro hanno ben chiaro il fatto che se restano in clandestinità o, al contrario, se qualcuno vorrebbe schedarle in stile nazista, così le sex workers corrono il rischio di essere esposte al contagio di malattie sessualmente trasmissibili; che loro, e solo loro, possono raccontare quel che è giusto per garantire la loro sicurezza. Marginalizzarle e privarle del diritto ad un riconoscimento sociale significa metterle in pericolo e consegnarle in mano agli sfruttatori. Possiamo, tutti quanti, smettere di calare dall’alto, sulle loro vite, una visione morale che non corrisponde alle loro libere scelte? Possiamo separare i provvedimenti, necessari, che vanno assunti contro la tratta e la prostituzione minorile, e quelli che invece devono essere dedicati al riconoscimento e alla regolarizzazione per le sex workers che scelgono liberamente di fare quel mestiere?
Pensateci. Pensiamoci.