Secondo La Stampa il ministro Padoan ha ottenuto il via libera di massima della Commissione Ue all'ipotesi di un intervento pubblico per ridurre i crediti "malati" degli istituti della penisola. Ma per l'economista Carlo Alberto Carnevale Maffè "non è affare dello Stato costituire banche o enti affini". E i consumatori minacciano battaglia: "No al regalo a chi ha erogato prestiti allegri"
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha già ricevuto dalla Commissione europea il via libera all’ipotesi di una bad bank di sistema per aiutare gli istituti italiani a liberarsi di una parte dei crediti “malati”. Una zavorra che, come dimostrano i dati diffusi lunedì da Bankitalia, continua ad appesantirsi e nel dicembre 2014 ha raggiunto quota 183,6 miliardi di euro. Secondo La Stampa, la settimana scorsa il titolare del Tesoro ha sottoposto l’idea al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, alla collega Margrethe Vestager, responsabile della Concorrenza, e al vicepresidente della Commissione con delega all’euro Valdis Dombrovskis. E i tre, “sia pure con qualche perplessità”, non hanno opposto pregiudiziali. Insomma, sembra di capire che l’esecutivo Ue è disposto ad ammettere l’intervento a patto che, come auspicato sabato dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, sia disegnato in modo da non configurare l’aiuto di Stato. Cioè coinvolgendo le banche nei costi dell’operazione e garantendo che l’eventuale sostegno pubblico sia adeguatamente remunerato.
“Siamo in contatto con la Commissione europea per cercare la migliore soluzione e stiamo valutando le diverse opzioni: il principio è quello di usare il più possibile le risorse di mercato“, ha confermato Padoan – e fonti di Bruxelles lo hanno avallato – il giorno dopo la diffusione di uno studio del Fondo monetario internazionale che mette in luce appunto la necessità di creare un mercato efficiente per la gestione e ristrutturazione dei crediti deteriorati. Individuare una soluzione è sempre più urgente, come emerge dai dati contenuti nel supplemento al bollettino statistico dedicato a Moneta e banche pubblicato da via Nazionale. Per quanto a dicembre il tasso di crescita delle sofferenze bancarie sia rallentato, infatti, l’aumento (al netto delle discontinuità statistiche) è stato del 15,2% rispetto a novembre. Secondo l’agenzia Bloomberg, le cinque principali banche italiane (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Banco Popolare e Ubi) chiuderanno il quarto trimestre 2014 con 8 miliardi di accantonamenti per perdite sui crediti contro i 3,8 del terzo trimestre. Così gli istituti, alle prese con i bilanci zeppi di prestiti difficili da recuperare, contrariamente a tutti gli auspici continuano a ridurre il credito concesso all’economia reale: sempre a dicembre i prestiti si sono contratti dell’1,6 per cento, dato identico a quello di novembre. E hanno anche iniziato – prima ancora dell’avvio del quantitative easing di Mario Draghi – a disfarsi dei titoli di Stato in portafoglio: a dicembre il totale di Bot, Btp, Cct e Ctz è risultato pari a 400,5 miliardi di euro contro i 411,6 di novembre e i 387 del dicembre 2013.
Ma non tutti sono d’accordo sul fatto che affrontare la situazione utilizzando soldi dello Stato sia l’opzione migliore. Secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente alla Sda della Bocconi, “una bad bank a partecipazione pubblica, in Italia, è una cattiva idea. Anzi, pessima, in queste condizioni di contesto: non è affare dello Stato costituire banche o enti affini”. Se il governo vuole davvero aiutare le banche a smobilizzare i crediti deteriorati, “la cosa più efficace che può fare è agire sui processi della giustizia civile, riducendo drasticamente tempi e complessità dei contenziosi” e intervenendo “sulle condizioni tecnologiche e normative che migliorano la trasparenza e l’accountability dei bilanci aziendali”. Per di più, “aiutare banche fragili, senza serie prospettive di competitività sostenibile a medio-lungo termine, rischia di essere accanimento terapeutico e di avere l’indesiderabile effetto di prolungare la crisi del credito all’economia reale”. Mentre gli istituti più grandi e solidi “sanno provvedere meglio da soli, utilizzando soluzioni di mercato e in competizione tra loro”. Il riferimento è al fatto che Unicredit ha già iniziato a ridurre i crediti deteriorati, anche attraverso un accordo con Intesa Sanpaolo e il fondo di investimento statunitense Kkr, e secondo indiscrezioni sarebbe ora in trattativa con la cordata Fortress–Prelios per cederne un ulteriore pacchetto da 500 milioni di euro in pancia a alla controllata Uccmb. Dal canto suo l’istituto guidato da Carlo Messina ha costituito lo scorso novembre Capital Light Bank, una unità operativa ad hoc per il recupero dei crediti “non performing”.
Del tutto contrarie anche le associazioni dei consumatori: il Codacons annuncia battaglia e ricorsi in sede europea parlando di “ennesimo regalo alle banche, verso cui lo Stato corre ogni volta in soccorso scaricando come al solito i costi finali sui cittadini contribuenti”, “una follia”, perché “l’efficiente funzionamento del sistema bancario dovrebbe essere garantito prima di tutto dalle autorità di Vigilanza cui spetta il compito di controllare le banche e il loro corretto operato”. Mentre Adusbef e Federconsumatori sottolineano che “se il governo ed il ministro dell’Economia Padoan non dovessero pretendere una equa retribuzione sulla garanzia statale prestata alla bad bank per cartolarizzare prestiti allegri spesso erogati ad amici e compari ai quali le banche hanno affidato prestiti incauti, lasciando scoperte proprio quelle sofferenze causate dalla crisi sistemica prodotta dai banchieri, sarebbe un vero e proprio regalo di Stato, che cercheremo di contrastare in tutte le sedi”. “Sarebbe inaccettabile”, prosegue la nota, “premiare gratis istituti di credito e banchieri che hanno sbagliato, in buona parte, a concedere fidi con criteri privi dei requisiti prudenziali nella corretta gestione del credito e del risparmio”.