Al via il 9 febbraio la plenaria del Parlamento di Strasburgo sull'etichettatura di origine obbligatoria anche nei "lavorato". E' la risposta dell'Ue allo scandalo dell'uso di carne equina in "piatti tipici" surgelati o precotti
La lasagna diventa tracciabile. Il voto della plenaria di Strasburgo, dal 9 al 12 febbraio, sull’”obbligo di origine delle carni trattate”, arriva esattamente due anni dopo il cosiddetto “Horse gate”, lo scandalo della carne di cavallo spacciata per manzo e servita nei cibi surgelati e precotti di mezza Europa.
Fu la Gran Bretagna a lanciare l’allarme: in un Paese in cui il cavallo è quasi venerato, ritrovarlo sotto forma di ripieno per primi piatti italiani scatenò il panico. Findus UK millantava sulla confezione il 100% di carne bovina e usava invece la meno pregiata carne equina, senza naturalmente alcun cenno in etichetta. Cadde il velo su una filiera sconosciuta ai consumatori: la carne dei cavalli macellati in Romania, solo dopo varie mediazioni arrivava al fornitore di Findus nel Regno Unito (Comigel).
Un giochetto al risparmio fatto dai grandi marchi come Nestlé, Knorr e Ikea (sulle polpette) e dalle piccole imprese in 25 Paesi europei. Una frode alimentare di livello internazionale, che si trasformò in spauracchio per la salute pubblica, quando l’Autorità europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ordinò esami del Dna a tappeto per accertare la composizione di quella carne. Il panico si diffuse in Europa.
Crollarono le vendite dei cibi precotti e Bruxelles si impegnò a creare un’agenda serrata per ridare fiducia ai consumatori. Maggiori controlli antifrode e test annuali, ma sulle “etichette trasparenti” c’è stata battaglia. Questo voto in plenaria è un obiettivo raggiunto per l’associazione francese “Que Choisir”, che in difesa dei consumatori europei, come recita la sua vocazione, ha raccolto i dati necessari per ingaggiare un duello all’ultimo cent.
Secondo l’analisi di impatto della Commissione Europea i costi aggiuntivi per l’indicazione del singolo Paese di provenienza delle carne oscillano di un 15-20% in più, senza contare gli oneri amministrativi quantificati tra l’8 e il 12%. “Un aumento anche lieve del prezzo del prodotto scoraggia l’acquirente, e il consenso sull’etichetta trasparente scende dal 90% al 60-80%”, recita l’analisi. Que Choisir smonta questi numeri e segnala invece un aumento medio del prezzo del prodotto pari allo 0,7%, fatta eccezione per le lasagne per cui si conta un +1,5%. Informare dunque costa, ma non poi tanto.
Gli emendamenti al testo della risoluzione sottoposta al dibattito di lunedì e al voto di mercoledì in plenaria, sottolineano la necessità di rendere obbligatorie le informazioni, pur ammettendo che questo non garantisce la qualità della carne che poi si mangia. Il voto sulla tracciabilità “è già una bella vittoria” afferma Que Choisir, ma resta molto da fare sul tema della filiera. L’Horse gate rappresentò un doppio scandalo, non solo nei cibi c’era carne equina non dichiarata, erano cavalli che mai sarebbero dovuti finire in tavola e i media britannici evocarono il ruolo delle mafie italiane nell’affare.
Le analisi del Dna riscontrarono tracce di fenilbutazone, un farmaco antidolorifico e antinfiammatorio molto utilizzato per i cavalli sportivi e da corsa, la cui carne non deve assolutamente finire nel circuito alimentare. Gli animalisti puntano il dito contro la pratica comune, diffusa anche in Italia, di mandare i cavalli sportivi a fine carriera in Romania, dove vengono macellati per poi essere reintrodotti in maniera fraudolenta nel circuito alimentare sotto forma di carne macinata.