Dopo lo shock degli eventi e delle immagini (la più tremenda, finora, è stata il giovane pilota bruciato vivo in pubblico) per prima cosa bisogna sapere: chi, dove, come, perché. Le notizie sono tante ma una guida importante e carica di informazioni è il libro appena uscito di Maurizio Molinari, Il Califfato del terrore (Rizzoli). Lo è perché esplora nel prima, quando gli stati islamici erano piccoli, irrilevanti e segnati dalla loro nascita artificiale (ciascuno disegnato dai vari Lawrence d’Arabia delle varie potenze coloniali) e da ricchezze naturali manovrate da altri. Ispeziona quasi passo per passo e luogo per luogo, i deserti e le città, la politica e le classi dirigenti, il clero e i popoli. E ci racconta come può mettersi in moto una grande e tremenda trasformazione, ovvero un immenso scatto di violenza che contiene due guerre: una contro gli infedeli dell’Islam (sunniti contro sciiti e qualunque altra minoranza) e una contro l’Occidente inteso come ogni civiltà o organizzazione non islamica e non sottomessa. Ecco il progetto chiamato Isis o Califfato.
Ora mi allontano dal libro, a cui devo molto per ciò che o detto e dirò, e torno a noi, vita e paure da questa parte del mondo. Mi guardo intorno, leggo, ascolto, e mi rendo conto che qui comincia un futuro che ciascuno di noi, popoli e governi, spera di attribuire ad altri, un futuro nel quale si sente il mormorio di quella indimenticabile frase del bambino napoletano, “io speriamo che me la cavo” (nel libro di Marcello D’Orta). Non so se avete notato che la paura (meglio sarebbe dire orrore e terrore) va e viene, nel senso che ha un suo massimo di repulsione nell’istante di annuncio, mentre veniamo costretti a sapere (a volte a vedere) il nuovo spaventoso delitto, ma poi “torniamo a casa”, torniamo sùbito, come dopo avere assistito per sfortunata coincidenza a un brutto incidente, fino alla prossima esclamazione di sdegno e di orrore per qualcosa che sarà ancora più grave.
Tristi e imbarazzanti sono le misure “di difesa” che ci annuncia il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Facile scherzare sulle sue espulsioni, più o meno a casaccio. Invece possiamo solo restare costernati di vivere a un livello così basso di intelligenza e di competenza fra coloro che giocano a fare il governo. C’è una grande confusione di traffico nella nostra politica interna. Quella estera? Come sapete, un’altra crisi molto grave, una quasi guerra, preme sull’Europa e dunque su di noi: il violento attrito, ogni giorno più pericoloso, fra Russia e Ucraina. Un importante giornale italiano, giorni fa, l’ha riassunta così, nel titolo: “La Mogherini ammonisce Putin”. Questo titolo, nella sua involontaria comicità, renderà più facile il lavoro per gli storici del futuro: l’Europa non c’era, mentre si delineavano i grandi pericoli che potrebbero cambiare milioni di vite. E quando c’era, vedevi Merkel e Hollande (non Mogherini) che incontrano Putin e vanno via in silenzio. Intanto, diranno i posteri, l’Italia era impegnata a votare una legge elettorale con quote fisse e blindate di candidati-partito (le sole difese blindate in Italia) e ad abolire quel pericolo pubblico che è il Senato della Repubblica.
Ora sappiamo che quel poco di vita politica che resta nel nostro Paese e in Europa, si divide in due parti. Una, da incoscienti che hanno la grande fortuna di non capire e di non sapere (dunque per ora immuni dal vedere davvero il pericolo), vuole la guerra, sia come persecuzione interna degli islamici, (per essere sicuri di creare subito, oltre che una immensa ingiustizia, anche un grande pericolo in casa), sia come truppe al fronte, che naturalmente Le Pen-Salvini guiderebbero con alta strategia da lontano, ma con molto apprezzamento per i nostri alpini nel deserto. L’altra tiene un basso profilo, fa finta che il problema sia la Grecia (che senza il Jobs Act non ha speranza), e non ha alcuna politica estera (niente, ma proprio niente) e alcuna idea del come interpretare la parola “difesa”, in senso politico e in senso tecnico, in una situazione così squilibrata e così squilibrante.
Ecco, a questo punto possiamo riprendere il libro di Molinari, che ci dà notizie accurate sull’estensione (non immensa ma in rapida crescita) e la potenza (grande soprattutto perché agisce nel vuoto) del Califfato e fare la domanda chiave: chi o che cosa c’è dietro, chi li agisce, chi li finanzia, chi li arma, chi dà loro tanto coraggio di essere crudeli e provocatori in modo osceno e con un uso osceno della sofferenza dei bambini e della riduzione in schiavitù delle donne? La risposta è brutta e semplice e ci riporta all’imbarazzo del titolo “La Mogherini ammonisce Putin”. Dietro ci siamo noi, l’Italia, che non ha né un pensiero, né un’idea, né un progetto sul tipo di rapporti, di politica, di diplomazia, di capacità di capire in tempo, nella vasta area dei paesi arabi intorno a noi, in un cerchio che condivide con noi il Mediterraneo.
Qui c’è l’Europa, che ha lasciato l’Iraq vuoto e la Libia abbandonata, con qualche vendita d’armi e qualche incasso alle pompe di petrolio. Qui ci sono detriti di ambizioni del passato europeo, povere politiche rivali e nessun senso della civiltà che dovremmo essere capaci di condividere con i popoli, già abbastanza tormentati da guerre nostre, in quei Paesi. Qui c’è la finzione che Israele non esista e che non importi se e quali legami, buoni o cattivi, abbia, o subisca, con il mondo che lo circonda. Qui c’è un tragico silenzio-assenso di una Italia, di una Europa che, a tratti, lancia grida di orrore e poi finge di non sapere, per non dover decidere il che fare. Medioevo, dite? Tragicamente vero. Medioevo d’Europa.