Quando il calcio italiano era sport da signori. La polemica tra Milan e Juventus, le insinuazioni di Galliani sui replay taroccati, la replica esagerata dei bianconeri, i giochi di potere che si nascondono dietro una querelle stucchevole, riportano alla mente un altro episodio della nostra Serie A. Stessa dinamica, toni ed esiti diversi. Perché diversi erano i protagonisti.
10 maggio 1981: da una parte Dino Viola, storico presidente della Roma, dall’altra Giampiero Boniperti, simbolo bianconero, di professione centravanti e grande dirigente sportivo, nella vita quotidiana anche geometra. All’epoca in ballo c’era ben più di una partita fra la prima della classe ed una squadra di metà classifica (quale appunto è oggi il Milan). E all’indomani del famosissimo Juventus-Roma 0-0, quello del gol fantasma di Turone che costò lo scudetto ai giallorossi, i due riuscirono a trasformare una feroce polemica in uno scambio d’ironie fra grandi uomini di sport. Il giorno dopo la partita e le critiche all’arbitraggio, Viola si vide recapitare un pacchetto a firma di Boniperti, con dentro un righello e un bigliettino: “Visto che Juve-Roma è una questione di centimetri, le regalo questo strumento perché lei possa misurarli meglio”. Immediata fu la replica del numero uno romanista, che dopo aver ringraziato rispose con beffarda cortesia: “Io sono ingegnere, serve più a un geometra come lei”. E come Galliani, che chissà per quali interessi nel weekend è arrivato a mettere in discussione persino le leggi della prospettiva. Con la risposta del giovane Agnelli che non è stata all’altezza dello stile dei suoi predecessori. Parabola perfetta di chi eravamo e chi siamo diventati.
Ma del resto non è la prima volta che quest’anno si assiste a scambi di dichiarazioni e comunicati volgari, fra presidenti che poi siedono fianco a fianco in Lega calcio (non a caso senza riuscire mai a mettersi d’accordo su nulla). Giusto un mese fa il derby Roma-Lazio era finito in rissa verbale fra le due società, tra il direttore generale giallorosso Baldissoni che faceva pesanti allusioni al coinvolgimento nel calcioscommesse di tesserati della Lazio, e il presidente Lotito che attaccava gratuitamente l’esultanza di Totti e i conti (a suo dire in disordine) della Roma. Oppure la settimana scorsa, quando Luciano Moggi, fautore di Calciopoli che nonostante condanne e radiazione continua ad avere cittadinanza nel nostro calcio, ha avuto il coraggio di scrivere su Twitter di “essersi lavato la mano” dopo averla stretta all’ex patron interista Moratti. Facendo il verso, mal riuscito, all’ironia dell’avvocato Prisco, che scherzosamente diceva: “Dopo aver stretto la mano a un milanista corro a lavarmela. Dopo averla stretta ad uno juventino, mi conto le dita”.
Altro stile, altri tempi e altro calcio: anche la Serie A era molto diversa. Giocavano Maradona e Falcao, Platini e Zico. E i presidenti si chiamavano Agnelli (l’avvocato, non il nipote) e Dino Viola. Oggi i campioni non ci sono più e la stessa fascia di capitano del Milan e dell’Inter, fino a ieri indossata da Baresi, Maldini, Bergomi e Zanetti, oggi è sulle braccia dei vari Muntari, Montolivo, Ranocchia e Guarin.