Dopo lo sconto di 500 milioni al gruppo Bplus, della famiglia Corallo, da parte della Corte dei Conti, l'ex comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche mostra ai pm una lettera in cui il generale Cicciò gli chiedeva di "comunicare la nostra incompetenza in materia"
Il 6 febbraio la Corte dei Conti ha chiuso la vicenda della ‘mega penale’ inflitta ai colossi delle slot machine. In appello i due concessionari Bplus e Hbg sono stati condannati a pagare in totale poco più di 400 milioni di euro per gli inadempimenti del 2004-2005, anni di avvio del servizio. Sono stati invece assolti due ex alti dirigenti del Monopolio, Giorgio Tino e Antonio Tagliaferri. Non sarà una grande somma rispetto ai circa 90 miliardi delle prime contestazioni della Guardia di Finanza o rispetto alla sanzione di circa 2,5 miliardi comminata in primo grado ai dieci concessionari (tra il primo grado e l’appello, otto delle dieci concessionarie coinvolte avevano scelto di aderire alla sanatoria prevista dal decreto Imu versando il 30% della somma riportata in primo grado, mentre Bplus e Hbg avevano deciso di proseguire nel giudizio d’appello), ma 407 milioni di euro certo non fanno male all’erario.
Questo risultato complessivo, pari a 837 milioni di euro tra la sanatoria di Letta e le condanne del 6 febbraio, non sarebbe stato raggiunto senza l’azione di un gruppo di finanzieri che ha agito contro i comandi – non entusiasti dell’indagine – e della politica, che ha remato contro con commissioni e condoni. Lo racconta, in un verbale inedito, l’ex comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche, Umberto Rapetto. L’ex finanziere, ora in pensione, spiega la circostanza ai pm milanesi che indagavano sui prestiti della Popolare di Milano (nell’elenco c’è anche Bplus) e fornisce le prove consegnando una lettera inviatagli da Virgilio Elio Cicciò, generale di Corpo d’Armata. È il 4 giugno 2012 quando Rapetto viene sentito. “Nel luglio del 2006 cominciò un nostro intenso lavoro delegato dalla Corte dei Conti ed in particolare dal dottor Smiroldo”. Posso dire che il nostro Comando Generale ha sempre cercato di orientarci verso il disimpegno da queste indagini, anche attraverso note formali che contestavano l’assenza di una nostra competenze in materia. Ricordo una nota del Generale Cicciò che mi invitava a comunicare al magistrato contabile la nostra incompetenza formale, proponendo di rivolgere la delega al Nucleo di PT. Il dott. Smiroldo non accolse l’invito verso il quale fu anzi molto critico, pregandomi di segnalare a lui eventuali tentativi di interferenza con le indagini da parte dei miei superiori”.
Rapetto consegna ai magistrati la nota del generale Cicciò, ora in pensione anche lui, datata 16 ottobre 2006: nella lettera si ordina a Rapetto di proporre al magistrato contabile di “rivolgere la delega alla articolazione preposta del locale Nucleo di polizia tributaria restando, comunque, a disposizione del citato magistrato” per specifici atti connotati “da elevato tecnicismo nel settore informatico”.
L’ex finanziere Rapetto comunica il contenuto della nota al magistrato Smiroldo, al quale chiede di ridefinire “i compiti assegnati al nucleo (…) così da considerare la disponibilità del più completo apporto investigativo e demoltiplicare lo sforzo operativo difficilmente sopportabile da un unico Comando”. Smiroldo, però, è convinto delle competenze del Nucleo Frodi Informatiche e il primo dicembre risponde esortando Rapetto “a continuare nella direzione intrapresa (…) Qualora articolazioni del Corpo non dovessero assicurarLe piena collaborazione nell’ambito dell’attività istruttoria che Ella svolge su delega della Corte dei Conti, ovvero dovessero ulteriormente ripetersi tentativi – diretti o indiretti – di ingerenza nelle decisioni investigative di questa Procura, La invito ad informarmi immediatamente”. Alla fine l’inchiesta ha raggiunto il risultato voluto grazie a chi avrebbe disatteso gli ordini e lo Stato incasserà 837 milioni di euro.
da il Fatto Quotidiano dell’8 febbraio 2015