L’azienda pubblica in fallimento e il comune di Roma a rischio tracollo finanziario. Uno scenario da brivido in una storia di spazzatura e soldi. Tanti soldi.
Nei giorni scorsi è rimasto inascoltato l’allarme lanciato da Daniele Fortini, presidente e amministratore delegato dell’Ama, l’Azienda municipale ambiente che si occupa della raccolta dei rifiuti. Spa attraversata dallo scandalo “mafia capitale”, ma ora alle prese con una minaccia ancor più grave dopo il caso degli appalti per una decina di milioni di euro andati, nel recente passato, a Salvatore Buzzi e soci. La vicenda riguarda Manlio Cerroni, il monopolista privato, oggi a processo per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e alla truffa. Cerroni, per anni, ha risolto i problemi della classe politica, incapace di pianificare in autonomia la gestione del pattume, offrendo la discarica di Malagrotta come invaso dove depositare l’immondizia della capitale.
Sono due gli arbitrati tra Colari (Consorzio laziale rifiuti) e Ama che fanno tremare le casse comunali. Il primo è già stato definito. L’Ama, a meno di altro esito nell’ultimo giudizio, dovrà pagare 89 milioni all’avvocato Cerroni, già accantonati nel bilancio della spa pubblica, per la gestione post mortem della discarica di Malagrotta. Un altro arbitrato, invece, fa presagire scenari da incubo per l’Ama e il comune capitolino. Il Colari chiede 900 milioni di euro per la mancata sottoscrizione di un contratto per l’uso degli impianti Tmb (trattamento meccanico biologico) che avrebbe comportato anche il mancato utilizzo del gassificatore di Cerroni. Quasi un miliardo che in caso di accoglimento manderebbe gambe all’aria l’Ama e il comune di Roma. Scenario apocalittico anche se la cifra del risarcimento sarà inferiore. “Quegli arbitrati presentano aspetti incredibilmente inquietanti di ingiustizia – spiega Fortini – e costituiscono la più pericolosa minaccia per la sopravvivenza di Ama. Le pretese del Colari potrebbero arrecare un danno enorme, senza precedenti, alla città di Roma, parliamo di circa un miliardo di euro”.
Il lodo sarà definito entro quest’anno. Per capire la rilevanza della posta in gioco basti citare un numero. A pochi mesi dall’insediamento, a fine 2013, il sindaco Ignazio Marino fissò in 867 milioni di euro il debito di Roma Capitale, chiedendo aiuto al governo per evitare la bancarotta. Il Colari chiede una cifra maggiore. Anche la Procura di Roma si sta occupando del caso e procede per abuso d’ufficio. Indaga sul presunto conflitto di interessi dei due consulenti incaricati nell’ambito del primo lodo arbitrale che ha condannato Ama al pagamento di 89 milioni (78 milioni più interessi). In passato, infatti, avrebbero lavorato per le aziende di Cerroni. “L’inchiesta sugli arbitrati è stata aperta a seguito di un nostro esposto, consegnato nel luglio scorso – aggiunge Fortini – la sua accelerazione è un ottimo segnale”.
A fine gennaio, su disposizione del pm Alberto Galanti, sono stati eseguiti due decreti di sequestro negli studi degli avvocati Nicolò Lipari e Guido Alpa, presidenti dei collegi del primo e secondo arbitrato tra Ama e Colari. Intanto, mentre l’arbitrato li vede nemici, Ama ha ancora bisogno di Colari per evitare i rifiuti in strada. Ogni giorno una parte dei rifiuti prodotti dai romani viene trattata dai due Tmb, al costo di 105 euro a tonnellata, e dal tritovagliatore (175 euro) di Manlio Cerroni; un flusso di soldi continuo verso le casse dell’anziano avvocato. Mentre il Colari potrebbe mandare gambe all’aria il bilancio comunale, Roma ha ancora bisogno dell’ottavo re, oggi, sotto processo.
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