Il testo del Ddl sui delitti contro l’ambiente licenziato nel febbraio di un anno fa dalla Camera presentava non poche criticità. Le Commissioni riunite ambiente e giustizia del Senato che hanno discusso ed emendato la proposta di legge per quasi un anno hanno rimosso alcuni di quei punti critici, anche assai rilevanti, come si è già provato a illustrare in questo blog; ma non ne hanno eliminati altri e, probabilmente, ne hanno prodotti di nuovi.
Per ovvie ragioni di spazio, ci si limiterà a qualche cenno, a volo d’uccello, a quelli potenzialmente più nocivi agli obiettivi della legge: garantire, finalmente, una seria tutela penale al bene ambiente e, quindi, al bene salute pubblica.
In questo post ci si concentrerà solo sulla prima figura di reato, benemerita novità assoluta nel nostro ordinamento: quella di inquinamento ambientale (art. 452 bis).
Qui gli emendamenti “dubbi” sono almeno tre.
Anzitutto, al primo comma si afferma che, ai fini dell’integrazione dell’illecito, la compromissione o il deterioramento non deve più esser solo “rilevante”, bensì “durevoli dello stato preesistente”.
Già la sostituzione tra i due aggettivi non pare una gran trovata, giacché, con la nuova formulazione, la domanda sorge spontanea: quanto devono durare quel deterioramento o quella compromissione perché chi li provoca possa esser punito?
Ma il problema principale della nuova complessiva locuzione potrebbe anche non risiedere in quel cambio di predicativo, bensì nella parte finale: a cosa ci si riferisce, precisamente, quando si parla di “stato preesistente”? Sembrerebbe, ottimisticamente, una mera ridondanza, come si dice nell’orrido giuridichese, una precisazione superflua: per definizione, infatti, lo stato di una matrice ambientale precedente a un fatto di inquinamento è a quest’ultimo “preesistente”.
A meno che non si voglia, invece, surrettiziamente interpretare (o lasciar interpretare) questo aggettivo come “originario”: in pratica, per ritenere un’immissione nell’aria, uno sversamento nel suolo, nel sottosuolo o nelle acque ecc… come causativi di una compromissione o un deterioramento dell’aria, del suolo …. si debba far riferimento alla primigenia qualità e condizione di purezza bio-chimica della matrice e non all’eventuale stato di polluzione in cui la stessa versava, in ipotesi, immediatamente prima del fatto d’inquinamento di volta in volta in questione.
La conclusione pratica di questa sorta di vagheggiamento legislativo di un improbabile (nel senso etimologico: che non si può provare) “status naturae purae”, non potrebbe che esser una sola: nel caso di immissione o sversamento in un terreno o in un fiume già, di loro, ampiamente “compromessi o deteriorati”, risulterebbe praticamente impossibile ritenere quei comportamenti come “causa” di quella stessa compromissione o di quel deterioramento, già abbondantemente causati da altri prima dell’inquinatore di turno.
In questo paese, si può ipotizzare senza dover contare su particolari doti d’immaginazione, questo scenario non risulterebbe proprio inverosimile.
L’effetto processuale, “obbligato”, di quest’impostazione, anche in questo caso, non potrebbe che esser uno: il fatto non sussiste.
Se proprio si voleva porre ulteriormente mano (rispetto a quanto illustrato nel post precedente) al testo dell’art. 452 bis approvato dalla Camera, si poteva farlo sostituendo il verbo “cagiona” con la locuzione “contribuisce a cagionare”.
Non sarebbe stato taumaturgico rispetto ai tormentoni “scientifici” che si apriranno fatalmente in dibattimento quando ci sarà da provare l’efficacia causale, in chiave di compromissione o deterioramento, di qualsiasi condotta d’inquinamento, ma avrebbe potuto aiutare.
Si è scelto di andare nella direzione esattamente opposta. Qualcosa vorrà pur dire.
Per ultimo, merita un cenno anche l’emendamento apportato all’ipotesi dell’inquinamento del suolo o del sottosuolo. Per integrare il reato, la compromissione o il deterioramento dovranno riguardare “porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo.”
Il quesito sorgente non può che esser l’ormai solito: quando una porzione contaminata di suolo o di sottosuolo potrà ritenersi “estesa o significativa”? Anche in tal caso, la difficoltà di sciogliere questi enigmi concettual – giuridici difficilmente resterà senza effetti (nocivi) pratici. Sarebbe bastato che i Commissari del Senato avessero tenuto a mente l’avvertimento del grande Flaiano: “non si risponde degli aggettivi incustoditi”!