La Grecia è nuovamente l’epicentro della crisi europea. Un compromesso tra le richieste del governo Tsipras e le esigenze degli altri paesi Ue sarebbe possibile e auspicabile, ma l’accordo non è scontato. Nel frattempo i mercati restano calmi. Grazie soprattutto alle mosse della Bce.
di Marco Pagano* (Fonte: lavoce.info)
Le incerte richieste di Tsipras sul debito
La Grecia è nuovamente l’epicentro di una crisi nell’Unione Europea. Il governo di Alexis Tsipras si rifiuta di proseguire l’attuazione degli impegni che i suoi predecessori avevano preso con la Troika formata dalla Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e dalla Commissione Ue: ha annunciato il blocco dei programmi di liberalizzazione e privatizzazione, l’aumento delle pensioni e dei salari minimi, l’abbandono delle politiche di ristrutturazione del settore pubblico e, soprattutto, la volontà di rinegoziare il debito pubblico greco.
Sul tema centrale della rinegoziazione del debito, la posizione del governo greco oscilla dal rinegoziarne l’entità al rivederne i tempi del pagamento. L’unico elemento di chiarezza finora è che Tsipras si è impegnato a ripagare interamente il debito detenuto dalla Bce e dall’Fmi, nonché ai creditori privati, cosicché i soli creditori con cui la Grecia vuole rinegoziare il debito sono i governi dell’Eurozona e il fondo anti-crisi che hanno creato nel 2010, cioè l’European Financial Stability Facility: a questi la Grecia complessivamente deve quasi 195 miliardi di euro, circa il 62 per cento del debito totale. In particolare, all’Efsf deve 141,8 miliardi, cioè all’incirca il 45 per cento del totale.
Non c’è molto spazio per allungare le scadenze del debito verso l’Efsf, che sono già molto lunghe: il primo pagamento sarà dovuto nel 2023 e gli interessi sulla maggior parte dei prestiti sono dilazionati al futuro; la scadenza media dei prestiti è di oltre 32 anni, con un tasso medio dell’1,5 per cento, che è quanto pagherebbe un paese con un ottimo rating (AAA). Quindi non si vede come la Grecia possa beneficiare di un’ulteriore dilazione. Ma anche rinegoziare l’entità del debito avrebbe un impatto trascurabile sugli interessi che la Grecia dovrà pagare nei prossimi otto anni.
Certamente, se il governo di Tsipras vorrà mantenere le sue numerose promesse elettorali, il debito pubblico greco dovrà crescere oltre i limiti previsti dagli accordi con la Troika. Ma nell’immediato lo Stato greco ha esigenze di liquidità pressanti, per esempio per poter pagare le pensioni, e quindi ha appena chiesto un prestito-ponte per farvi fronte, in attesa di presentare un piano di rinegoziazione del debito ai governi della Ue.
L’intransigenza dei governi dell’Eurozona
Per il momento, le richieste di una rinegoziazione del debito così come quelle di un prestito-ponte sono cadute nel vuoto. Da parte dei governi della Ue, e soprattutto da quello tedesco, c’è stato finora un atteggiamento negoziale duro, come si è visto nell’incontro del 5 febbraio tra il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e quello greco Yanis Varoufakis. E il 6 febbraio anche la possibilità di un prestito-ponte è stata esclusa da Jeroen Dijsselbloem, capo dell’Eurogruppo. C’è da aspettarsi che l’atteggiamento intransigente persista: concedere ulteriori sconti alla Grecia per consentirle un allentamento della politica fiscale dopo due ristrutturazioni del debito sarebbe non solo difficile da far digerire all’elettorato dei maggiori paesi dell’Eurozona (specie quello tedesco), ma rischia di aprire le porte a operazioni analoghe in Portogallo, in Spagna e in Italia. Un rischio particolarmente elevato, considerato il successo di Podemos in Spagna e il peso della Lega e del Movimento 5 Stelle in Italia, entrambi favorevoli a questo tipo di operazioni.
Rischi della ristrutturazione del debito…
Anche i mercati finanziari potrebbero interpretare una ristrutturazione del debito greco come un segnale che operazioni analoghe possano aver luogo anche in altri paesi della “periferia Sud” dell’Eurozona. Queste aspettative metterebbero nuovamente sotto pressione i tassi di interesse di questi paesi. E visto che una rinegoziazione del debito pubblico spagnolo, italiano e portoghese sarebbe inaccettabile per i paesi del “centro” dell’Eurozona, in primis per la Germania, i mercati comincerebbero a valutare nuovamente probabile un crollo dell’euro. Tutto ciò ci riporterebbe indietro al 2010-11, cioè a spread molto elevati sui titoli della “periferia Sud”, con effetti disastrosi non solo per le finanze pubbliche di questi Stati, ma anche per la debole ripresa che si sta appena manifestando.
… e rischi della mancata ristrutturazione
D’altronde, va riconosciuto che anche la mancata rinegoziazione del debito greco ha i suoi rischi: se dovesse causare l’uscita della Grecia dall’Eurozona, ciò potrebbe innescare l’aspettativa che altri paesi possano seguire lo stesso sentiero, il che non è inverosimile considerate le spinte ostili all’euro emerse in vari paesi. Anche questo pericolo di contagio potrebbe portare a un aumento degli spread sui titoli di Stato della “periferia Sud”.
Inoltre, c’è un considerevole rischio geopolitico: l’uscita della Grecia dall’Eurozona potrebbe spingerla a un’alleanza con la Russia, cosa che comprensibilmente preoccupa molto le cancellerie occidentali, in primo luogo l’amministrazione Usa. Non è un caso che Barack Obama abbia appena invitato i paesi dell’Eurozona a un atteggiamento negoziale conciliante con la Grecia.
In conclusione, i rischi non mancano, quale che sia l’esito della negoziazione. Il rischio maggiore è che una delle due parti possa sopravvalutare il proprio potere negoziale e forzare la mano, conducendo a una rottura delle trattative e alla fuoriuscita della Grecia dall’euro, nonostante la maggioranza dei greci sia favorevole alla moneta unica. L’esito più probabile, e tutto sommato più augurabile, è che vi sia qualche piccola concessione, per consentire a Tsipras di dire al proprio elettorato di aver mantenuto almeno in parte le promesse elettorali, e al tempo stesso abbastanza piccola da non generare eccessivo allarme nell’elettorato tedesco e nei mercati, né corse all’imitazione del governo di Tsipras nella periferia Sud dell’Eurozona. Ma non è chiaro se le parti avranno la capacità di raggiungere un compromesso di questo tipo.
La sorprendente calma dei mercati
In questo quadro di enormi rischi, la cosa che potrebbe apparire più sorprendente è la calma dei mercati. Come mai non sono terrorizzati dal rischio di contagio dalla Grecia al resto della “periferia Sud” come nel 2010 e nel 2011? Allora, il rischio era così forte da spingere i governi della Ue, insieme con la Bce e l’Fmi, a varare ben due massicci di piani di salvataggio, uno di 110 miliardi di euro nel 2010 e uno successivo di 130 miliardi nel 2012.
Il rischio di contagio è per ora tenuto sotto controllo da due circostanze: attualmente l’esposizione delle banche degli altri paesi Ue verso lo Stato greco è trascurabile, ben minore che nel 2010; e, soprattutto, la Bce sta per varare un massiccio programma di Quantitative easing in funzione anti-deflattiva, che comporterà tra l’altro acquisti massicci di debito pubblico della periferia Sud.
La mossa della Bce
Ciò ci porta al ruolo che la Bce gioca in questa complessa partita. È un ruolo molto delicato, perché la Banca centrale si trova a dover contemperare il suo ruolo di “prestatore di ultima istanza” alle banche greche con la necessità di evitare che il governo greco usi il sistema bancario del paese per finanziare le casse esauste dello Stato, spingendole a impiegare liquidità in buoni del tesoro di nuova emissione.
La Bce è riuscita finora a contemperare le due esigenze in modo magistrale: il 4 febbraio ha chiarito che le banche greche non potranno usare titoli pubblici greci come garanzia per poter prendere a prestito liquidità dalla Bce, cosa che finora era stata consentita eccezionalmente, sebbene il debito greco sia considerato molto rischioso (junk-rated) dalle società di rating. Quindi le banche greche accedono alla liquidità della Bce solo se possono dare a garanzia titoli di buona qualità, il che le scoraggia ovviamente dal cedere alle probabili richieste del loro governo di sottoscrivere titoli pubblici greci. Al tempo stesso, però, la Bce ha lasciato aperta la linea di credito di emergenza (Emergency Liquidity Assistance) grazie alla quale le banche greche possono – entro certi limiti – ottenere liquidità dalla Banca centrale greca.
In tal modo, la Bce sta cercando di evitare che si verifichi una “corsa agli sportelli” da parte dei depositanti greci (pericolo reale, perché le banche greche hanno già perso circa 15 miliardi di depositi nei due mesi prima delle elezioni), ma al contempo cerca di evitare di contribuire alla monetizzazione del debito pubblico greco, il che sarebbe contrario al suo statuto. Per il momento la strategia ha funzionato. Con la sua mossa, la Bce è riuscita anche a “sfilarsi” nei limiti del possibile, cioè a segnalare ai governi dell’Eurozona che la palla è nel loro campo e che tocca a loro raggiungere un accordo.