La Corte d'appello di Roma ha ribadito la decisione del gup per il muratore calabrese che nel giorno dell'insediamento del governo Letta colpì quattro carabinieri, ferendone uno in modo grave. I difensori: "Ricorreremo in Cassazione"
“Quella dei giudici è una decisione giusta, va bene così”. Condivide la sentenza della Corte d’Appello Martina Giangrande, la figlia del brigadiere Salvatore Giuseppe, ferito gravemente davanti a Palazzo Chigi nel giorno del giuramento del governo Letta, il 28 aprile del 2013. A sparare contro di lui e altri tre colleghi è stato Luigi Preiti, muratore originario di Rosarno emigrato da più di 20 anni ad Alessandria. La I Corte d’Appello di Roma, presieduta da Giovanni Masi, ha confermato per lui la condanna a 16 anni di reclusione, già inflitta con rito abbreviato dal gup di Roma. Giangrande, colpito al collo, è ancora impegnato in una difficile riabilitazione.
Il procuratore generale aveva chiesto per l’imputato un aumento di pena di due anni, ma la Corte non ha accolto la richiesta. Preiti è stato anche condannato a pagare le spese di giudizio e una serie di risarcimenti, sia alle parti civili sia al ministero della giustizia. In particolare, le spese sostenute dai familiari sono state quantificate in 4.800 euro, al ministero sono state riconosciute spese per 1.800 euro mentre 1.440 euro saranno liquidate a un’associazione onlus. Gli avvocati di Preiti, Raimondo Paparatti e Mauro Danielli, hanno già anticipato che faranno ricorso in Cassazione. Dopo la lettura del dispositivo hanno sottolineato come al loro assistito “non siano state nemmeno riconosciute quelle attenuanti generiche chieste dalla stessa procura in sede di giudizio di primo grado”.
Il passaggio ulteriore è il commento al ‘no’ dei giudici a una nuova perizia, visto che quella effettuata nell’ambito del processo di primo grado lo aveva dichiarato capace di intendere e di volere al momento del fatto. “A nostro avviso c’erano i presupposti per una rinnovazione dibattimentale con l’effettuazione di una perizia psichiatrica – hanno detto i legali di Preiti – La realtà è che è evidente ed è stata certificata l’esistenza di un disturbo psicologico-psichiatrico di cui tuttavia i giudici non sono riusciti ad ammetterne la rilevanza processuale”.
Preiti ha sempre sostenuto di voler fare un gesto eclatante, legato alla sua condizione di disoccupato, ma di non voler uccidere. Per il giudice di primo grado, Filippo Steidl, l’uomo non fece fuoco “alla cieca” contro i militari, ma “contrariamente a quanto da lui dichiarato”, scrisse il giudice, mirò “specificamente alle singole persone”.