Dopo dieci anni di produzione e 449 esemplari venduti con grande fatica, l’ultima supercar del gruppo Volkswagen verrà esposta al Salone di Ginevra, dove tutto era cominciato nel 2001. Numeri impressionanti, 2 miliardi di euro persi ed emozioni col contagocce: questa è la storia della Bugatti Veyron
Vi avanzano un paio di milioni di euro e volete fare un investimento? Lasciate stare il mattone o i diamanti e andate in Svizzera. Non in una banca, visti i tempi che corrono, ma al Salone di Ginevra, poi fate la vostra offerta per l’ultimo esemplare di Bugatti Veyron e sperate di battere qualche miliardario cinese che potrebbe anche decidere di triplicarla per far aggiungere il suo nome a quello dell’auto. Non sappiamo dirvi se tra dieci anni ne sarà valsa la pena. ma sicuramente potrete dire di avere in garage l’auto più folle e meno remunerativa mai realizzata. Correva l’anno 2001 e sul gruppo Volkswagen “regnava” Ferdinand Piech, nipote dell’altro Ferdinand fondatore della Porsche, un uomo dal carattere particolare, un manager convinto che Wolfsburg dovesse dimostrare il suo strapotere in ogni modo possibile. È a lui che si deve la nascita della Phaeton, che doveva battere BMW e Mercedes sul terreno dove sono storicamente più forti, le ammiraglie e che invece ha causato perdite per oltre 2 miliardi di euro.
E sempre Herr Piech si deve ringraziare per la creazione della Bugatti Veyron, annunciata a Ginevra nel 2001 come auto di serie più veloce della storia, promessa su strada per il 2003 e arrivata solo nel 2005, dopo tanti problemi di messa a punto, brutte figure in pista, rotture, incendi e dirigenti silurati. Un milione di euro (tasse escluse) era quanto serviva per mettersene una in garage, ma era chiaro che produrre una Veyron costasse molto di più. Ci sono voluti un po’ di anni, ma nel 2013 alla Bugatti hanno ammesso che per ogni unità venduta perdevano 4.951.000 euro. Ciò vuol dire che dalla presentazione si è creata una voragine di oltre 2 miliardi di euro. Si, perché quella che verrà esposta a Ginevra sarà la Veyron numero 450 e i conti si fanno in un attimo. Infatti, dopo i primi 300 esemplari con carrozzeria chiusa, ne sono stati realizzati altri 150 con il tettino rimovibile. Il problema è che ci sono voluti dieci anni e un elenco pressoché infinito di serie speciali per riuscire a venderle tutte.
Alla Bugatti hanno tirato in ballo qualsiasi cosa, dai padri fondatori (Ettore, il figlio Jean, il pilota Jean-Pierre Wilmille e il direttore sportivo Meo Costantini), al colore del sangue (bianco, puro, blu o nero), al Transformer “Bumblebee’” (che in realtà sarebbe una Chevrolet Camaro, ma vabbè); ciononostante la missione si è rivelata davvero ardua. E non è stato cero un problema di soldi (citofonare Horacio Pagani), ma di emozioni e sensazioni, quelle di cui la Veyron è particolarmente avara.
A che cosa servono 1.200 CV e 1.500 Nm di coppia prodotti da un motore 8 litri W16 (composto da due bancate V8 a 15° unite) con quattro turbo, se poi il suo rumore è quello di una gigantesca aspirapolvere? Che senso ha scattare da 0 a 100 km/h in 2,5 secondi, arrivare a 200 km/h in 7,3 s e a 300 km/h in 16,3 s, se poi la guidabilità è quella di un camion sottosterzante? Dove si possono raggiungere i 432 km/h di velocità massima, se i 100 litri di benzina finiscono in pochi minuti? Perché spendere 15.000 euro per un treno di gomme ogni 9.000 km, portarsi dietro circa 200 kg di liquidi tra oli vari e circuiti di raffreddamento, se in pista si prendono mazzate da auto che costano dieci o venti volte meno?
Tutte domande a cui 449 persone hanno, forse, trovato risposta. Se volete provarci anche voi, l’appuntamento è a Ginevra, ma non tergiversate in attesa della nuova generazione, perché in Volkswagen hanno detto che prima del 2016 non se ne fa nulla. E che vogliono pensare bene se mettere in circolazione un altro flop da due milioni di euro.