Perché dovrebbe importatecene dei risultati elettorali di un’assemblea statale in una nazione asiatica lontana e spesso ancora incomprensibile per molti di noi? Chissenefrega se il partito anticorruzione indiano ha vinto con una maggioranza impressionante (67 seggi su 70) le votazioni di Delhi? Notizie dell’altro giorno, cose vecchie e lontane.
Però la fenomenologia dell’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal non si sviluppa in una bolla ermetica che riguarda soltanto l’India, ma è incastonata in un’interdipendenza globale che non è possibile de-programmare neanche volendo.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, la rabbia contro l’establishment, già incanalata dai pionieri di Occupy Wall Street, è cresciuta in tutto il mondo: movimenti di protesta, disobbedienza civile, martiri della trasparenza nell’informazione, mobilitazioni in piazze reali o virtuali lievitate a volte in vere rivoluzioni finite più o meno male. Per ora.
Dopo una serie di deludenti risultati elettorali in rapporto a questa lunga onda di protesta, ecco la vittoria di Alexis Tsipras in Grecia, e adesso quella di Kejriwal. Questo ha un significato potente per l’India, sicuro, ma anche per altri tasselli della scacchiera mondiale.
Perché la vittoria di Delhi è significativa? Perché si pensava che sarebbe accaduto quasi l’opposto. O meglio, perché anche se si poteva ipotizzare una vittoria del partito dei militanti anti-corruzione, nessuno aveva indovinato l’entità di questo trionfo. Ciò significa forse che l’India intera cova molti più elettori pro-Aap di quanto s’ipotizzasse. Considerato che Modi deve conquistare la Camera alta del parlamento nelle elezioni statali che si dipanano nei prossimi quattro anni (avendo maggioranza solo alla Camera bassa) vedete che l’ottimismo dei fondamentalisti indù del Bjp, ora al governo, ha ricevuto non un calcio tra le gambe, ma un bel pugno in pancia, sì.
Difatti Kejriwal ha raccolto la rabbia che cavalcava, prima di lui, il movimento dell’ormai imbolsito Anna Hazare. Ma invece di prendersela con i fallimenti del Congress Party del deludente Rahul Gandhi o evidenziare qualche scivolata del Bjp di Modi, l’Aap, il partito dell’Uomo Comune, ha scelto di focalizzarsi sulle proposte di cambiamento che riguardano appunto le persone comuni.
Il suo piano programmatico in 70 punti è quasi ingenuo. Acqua gratis, bollette abbordabili per chiunque, scuole migliori. Roba vecchia. Investimenti pubblici, ma non espansione delle partecipazioni statali. Più posti di lavoro per i dipendenti dello Stato e sussidi. Ma questa non era la politica del Congress Party post-socialista della dinastia Gandhi? Il problema è che il Congress è ormai impresentabile, ancora insudiciato dai tanti scandali di corruzione. La sua traiettoria per il momento sembra davvero arrivata al capolinea. Così Arvind Kejriwal raccoglie il consenso sia dei transfughi del Congress orfani di vera leadership, sia di chi la primavera scorsa ha votato Modi sull’onda dell’entusiasmo e poi s’è accorta che forse non era davvero d’accordo con i suoi punti programmatici che danno priorità alle grandi industrie.
L’Aap ha mantenuto l’attenzione, grazie anche alla bravura comunicativa del suo fondatore dai baffetti curati, su necessità basilari quali l’acqua pulita, cibo sufficiente, sanità più diffusa per quanto rudimentale, scuole ragionevolmente decenti, garanzia di collegamento elettrico costante (grande problema ancor oggi qui in India) e su un senso di sicurezza nelle strade. Cose semplici. Ma hanno funzionato, nel 2015, laddove nel 2014 avevano ottenuto consensi per il Bjp invece i grandi sogni di treni ad alta velocità e autostrade, oltre ai grandi contratti con le multinazionali straniere che dovevano venire a “Make in India,” a produrre qui i loro manufatti. Insomma i sogni dell’India degnamente inserita nel G20 hanno funzionato per Modi quasi un anno fa, ma oggi per Kejriwal, a Delhi, hanno funzionato promesse ben più semplici e realizzabili, nel contesto di una gestione meno corrotta del potere.
Magari il significato di questa vittoria sarà ridimensionato dall’abilità e la furbizia di un Modi che finora era riuscito ad evitare grandi errori. C’è da contarci. O Kejriwal verrà ridimensionato come politico. Gli è già successo quando vinse queste elezioni pochi mesi fa e fu costretto a dimettersi da governatore di Delhi perché non riusciva a trovare una maggioranza, ora inscalfibilmente conquistata.
Ma in questi giorni una parte dell’India sembra animata, così come sembra esserlo una parte della Grecia, da grandi speranze di una rivoluzione pacifica.
E perché dovrebbe importarcene? Penso che ormai sia chiaro anche in un paese come l’Italia, dove queste speranze, se ci sono, restano a macerare fino allo sfinimento e all’esaurimento della propria spinta propulsiva. In questo clima, la probabilità di sorprese come quella di Delhi potrebbe essere più alta del solito.