Sono contraria alla nascita dei cosiddetti quartieri a luci rosse. Sono contraria alla legalizzazione dello sfruttamento economico della prostituzione. Sono contraria alla soppressione della legge Merlin, che nel 1958 ha decretato la chiusura delle case di prostituzione nel nostro Paese. Consideratemi un’idealista, se volete. Oppure una persona poco pratica, o tutt’al più una proibizionista.
Quel che però non concepisco è come si possa essere tornati su questo annoso e – permettetemi – vecchio leitmotiv (ovvero, l’apertura in Italia dei quartieri o vie a luci rosse) a seguito dei problemi urbanistici e di degrado di un quartiere di una città.
Che questa sia Roma, poco importa; che la zona incriminata sia l’Eur, interessa ancora meno. Come è possibile, anche solo pensarlo, di creare delle “zone franche” in cui vada in scena, legalizzato, il più meschino delle affari, il più becero dei contratti quantitativamente monetizzato, ovvero il mercanteggiare del sesso ai danni di una donna, al solo fine di tutelare il decoro di una zona residenziale?
O peggio, per migliorare l’urbanistica di quell’area. Per abbattere da quelle parti il degrado che s’è incistato nel tempo, evidentemente risultato non tanto del fatto che in Italia non esistano quartieri a luci rosse o che lo sfruttamento della prostituzione sia vietata, ma della trascuratezza degli organi competenti; dell’inadempienze dello Stato e della Pubblica amministrazione e per la tolleranza concessa a certe pratiche che con gli anni s’è trasformata in una piaga sociale difficile da debellare.
Ma tale difficoltà non può essere superata attraverso la soluzione più banale, poco dispendiosa e francamente inconsistente, di pensare di riaprire le case di tolleranza in questo Paese.
“E’ vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane”: la legge Merlin nella sua quasi volterriana essenzialità ha posto fine a una pratica antica e quanto tale assolutamente incompatibile con le caratteristiche di un mondo civile, moderno e illuminato.
Chi oggi vuole andare nella direzione opposta, prova a giustificarsi adducendo una serie di motivi pratici. Per primo parla dell’opportunità di togliere le prostitute dalla strada e riportarle in case di tolleranza, controllate e censite. Questo come se una donna che scegliesse la professione di prostituta, poi, in quei luoghi si potesse trovare davvero a proprio agio. Invece, secondo me, il rischio che quelle case si trasformino in inferni del tutto simili alle attuali strutture abusive o al barattare in strada, è assolutamente possibile.
Li vigerebbe inoltre la legge del mercato. Quei luoghi avrebbero un bilancio da far quadrare e le povere ragazze dovrebbero concedersi attraverso “offerte”, oppure rispondendo a quanto la maggioranza dei clienti potrebbero chiedere, per esempio il sesso senza preservativo. E così veniamo ad un altro elemento che chi è favorevole al meretricio legalizzato porta a propria giustificazione: la circostanza che il tutto si svolgerebbe in un ambiente di salubrità maggiore e con minor rischio sanitario.
Tale affermazione è smentita, per esempio, dalla fotografia fatta nel 2014 dall’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), sulla diffusione dell’Aids in Europa. Si nota come il virus dell’Hiv si sia diffuso omogeneamente in tutti i paesi dell’area Euro, senza particolari distinzioni. Senza forti differenze, per esempio, tra Italia e Austria, Svizzera e Germania, dove la prostituzione è legale e regolamentata dalla legge, come pure l’esercizio di case chiuse.
E infine, i favorevoli ai quartieri a luci rosse, parlano di maggiori controlli. Ma siamo certi di questo? La dimostrazione sono i controlli che non vengono fatti (o che non possono essere fatti, per mancanza di risorse) in relazione all’attuale divieto. Il degrado all’Eur era sotto gli occhi di tutti da tempo, ma non c’è mai stato un massiccio intervento da parte delle forze dell’ordine, tale da debellare il problema e ripulendo vie e parchi. Non c’erano abbastanza uomini, la polizia non ha abbastanza fondi… Ecco le giustificazioni. Però qualcuno immagina che ne avrebbero per controllare le centinaia di case di tolleranza che potrebbero nascere con una legge anti-proibizionista, assieme ai tanti quartieri a luci rosse. Chimere.
Volutamente non affronto il tema dell’eventuale maggior gettito fiscale che potrebbe entrare nelle casse dello Stato tassando la professione della prostituta. Anche qui, i controlli della finanza ci sarebbero? Ma non è questa l’argomento che mi interessa. È il ribrezzo che proverei pensando che il mio paese possa speculare in questo settore.
Parliamo della professione più antica… E allora lasciamola alla preistoria. Viceversa, riconosciamo il lavoro di chi ha contribuito a rendere il nostro Paese più civile. Grazie Tina.