Quando non ha passato il test alla facoltà di Medicina, Giacomo Pirovano, 28 anni, non avrebbe mai pensato che alcuni anni dopo sarebbe andato a lavorare per l’ambitissima Università di Oxford. Un campus di ricerca dove, mentre il 28enne fa studi sulla radioterapia per il cancro, al piano superiore si sperimenta un vaccino contro il virus Ebola. “Proprio in questi giorni il laboratorio mi ha chiesto di spendere più soldi in materiali. Mi sembra ancora strano: abituato al piccolo centro di Pavia dove dovevamo stare attenti ad ogni centesimo”. Ma del fatto che in Italia non c’è investimento sulla ricerca, Giacomo non deve più preoccuparsi.
Nato e cresciuto a Melegnano, in provincia di Milano, era stato respinto per l’ingresso nella facoltà di Medicina. Un “fallimento” che è stato determinante, dice, affrontare “in modo legale e morale”. Perché Giacomo è figlio di un medico. “Mio padre non mi avrebbe mai raccomandato. Io non lo avrei mai accettato. E così ho cambiato facoltà. Ho cambiato idea sul mio futuro: ogni problema ha una soluzione lecita, basta avere un po’ di fantasia”. Da qui gli eventi si sono susseguiti velocemente. Laurea in Fisica alla Bicocca di Milano. Poi la magistrale in Fisica biomedica a Pavia e l’incontro con il professore Andrea Ottolenghi. “Lavoravamo in un laboratorio minuscolo, grande come la stanza dove ora vivo. La qualità della ricerca era altissima. L’Italia non ha un problema di capacità ma di fondi. Lo aveva capito anche il mio professore”. E così Giacomo durante la tesi è stato inviato per sei mesi in un laboratorio a Belfast, in Irlanda del Nord.
Ma qual è stato il punto di non ritorno che gli ha permesso di arrivare in una delle università più ambite del mondo? “La voglia di aprirmi all’Europa. Se non fossi andato a studiare in Irlanda e poi in Scozia, dove ho fatto un master in Computer Science, non avrei mai avuto le carte in regola per entrare ad Oxford”. Cosa serve per accedere? Lettere di recommendation, “in cui persone che hanno lavorato con te segnalano se sei bravo. A prescindere da chi sei, quanti anni hai o, come nel mio caso, da dove vieni”. In pochi anni le lettere giuste arrivano, la borsa di studio – della stessa Università di Oxford – anche. “Lavorare duro paga”. E ora Giacomo sta facendo un dottorato di quattro anni in Fisica biosanitaria.
I suoi studi sono volti a rendere la radioterapia più efficace nella cura contro il cancro. “Nella ricerca scientifica qui se hai un’idea ti permettono di realizzarla. In Italia quante persone devi convincere?”. Avrebbe potuto fare il dottorato all’Università di Pavia “dove si lavorava bene e con qualità. Peccato che in campo scientifico in Italia ci siano grossi problemi con i fondi”, racconta Giacomo mentre mostra il Tricolore che ha appeso in camera. Perché il giovane ricercatore di Oxford in Italia ci tornerebbe. Ma, come chi ha studiato all’estero sa bene, un dottorato nel Belpaese vale solo per la carriera accademica, mentre all’estero ti apre opportunità di lavoro. “Andrò negli Stati Uniti o resterò in Inghilterra. Ci sono tanti biologi, fisici e matematici italiani che studiano e lavorano qui”.
Sul suo curriculum sotto la voce “Competenze personali” ha scritto: “Mi piace lavorare sodo e sono assetato di successo”. E infatti, finito il laboratorio, alle 5 del pomeriggio, il giovane fisico continua lo studio in biblioteca. Poi va a conferenze e mostre. “Non si deve temere di avere tanti interessi ma osare e imparare il più possibile”. E se sono in pochi ad arrivare ad Oxford, per Giacomo questo non può essere un punto di arrivo. “Si deve mirare sempre più in alto. Sono felice di essere qui, ma voglio andare avanti. Io voglio essere quell’1% che ce la fa. Diceva Baden-Powell, il fondatore dei boyscout: ‘Butta il cuore oltre l’ostacolo’. Non si sa mai, poi, cosa si incontra lungo la strada”.