L’unico titolo italiano in concorso alla 65ma Berlinale, diretto dall’esordiente Laura Bispuri e con Alba Rohrwacher splendida protagonista anche a Berlino dopo aver trionfato a Cannes, con la sorella Alice, e a Venezia, con il compagno Costanzo
C’è un sincero e caloroso applauso ad accogliere Vergine giurata, l’unico titolo italiano in concorso alla 65ma Berlinale, diretto dall’esordiente Laura Bispuri e con Alba Rohrwacher splendida protagonista anche a Berlino dopo aver trionfato a Cannes (con la sorella Alice) e a Venezia (con il compagno Costanzo).
“Alba parla albanese come una madrelingua, e con il tipico accento delle zone di montagna. Ma come ha fatto?” chiede una cronista albanese al gruppo di giornalisti tricolore seduti al suo fianco alla conferenza stampa. E accanto alla stampa albanese, la più ostica rispetto all’accettazione del film visto il suo tema, l’accoglienza positiva ha raccolto i consensi da svariati Paesi del mondo: dagli Stati Uniti al Messico, dalla Francia alla Spagna e all’ospitante Germania, tutti unanimi nel complimentarsi con la regista sul film.
Il segno è che Vergine giurata è stato recepito a Berlino quale opera dal respiro universale, benché racconti il minimalismo di Hana, una giovane donna albanese che applica una locale legge arcaica (il Kanun) per diventare una “vergine giurata” (Burneshat) cioè un “uomo” inteso come diritti insiti nel sistema patriarcale vigente nelle remote regioni dell’Albania montana. Hana “si trasforma” dunque in Mark e in quanto “uomo” si veste come tale, beve e fuma, lavora in una fonderia. Dovrà rinunciare per sempre al sesso. A un certo punto Mark decide di andarsene dall’Albania e raggiungere la sorella in Italia dove risiede, sposata e madre di una ragazzina. È qui che Mark torna ad essere Hana, trovando anche l’amore.
Vergine giurata è – con evidenza – un film sul corpo, sulle sue mutazioni, privazioni e acquisizioni. Ed è anche un film sulla condizione femminile, ben espressa dalla pratica del nuoto sincronizzato da parte della nipote: “Uno sport metafora della perfezione con cui la donna è costretta ad apparire magnifica e sorridente dopo aver compiuto invisibili fatiche immani, sott’acqua. È un chiaro limite ancora presente almeno nel nostro Paese rispetto alla concezione della donna”.
La regista romana, classe 1977, ha liberamente ispirato soggetto e sceneggiatura (coscritti con Francesca Manieri) all’omonimo romanzo di Elvira Dones (Feltrinelli Ed, 2007) e per prepararsi al film (selezionato a livello progettuale dall’Atelier Cinéfondation di Cannes) si è letteralmente immersa a 360° nel territorio umano e culturale albanese. “Lunghe permanenze, letteratura, musica, cibo e incontri con le famiglie della zona ed anche con vergini giurate”.
La parole d’ordine con cui sia Bispuri che Rohrwacher hanno avvicinato le non facili popolazioni dell’Albania profonda e dalle usanze primitive (“ci siamo recati in un luogo sperduto in cui l’unica strada asfaltata presente a un certo punto finiva tra le montagne. La gente non ha automobili, si muove a piedi o a cavallo”) sono state “pudore e rispetto”. “Non facevamo domande, cercavamo di capire osservando e stando bene ad ascoltare i loro racconti” spiega Alba, che ha studiato l’albanese in due mesi di full immersion. Tra regista e attrice è scattata subito un’intesa simbiotica, tanto che per Laura “Hana/Mark non poteva che essere Alba”. Bispuri e Rohrwacher non hanno dubbi nel descrivere le vergini giurate – una di loro compare anche nel film – quali meravigliose “creature di mezzo”, imbrigliate in una prigionia ancestrale, immerse nella povertà assoluta. “Per fortuna il rituale, che si basa su un giuramento inscindibile, sta svanendo oggi”. Tre anni e mezzo di lavorazione e tanta fatica finalmente appagata dalla selezione in concorso al Festival di Berlino: Vergine giurata sarà presto visibile agli italiani uscendo prossimamente nelle sale grazie a Istituto Cinecittà-Luce.