Le immagini del pilota giordano arso vivo hanno rappresentato un punto di non ritorno e spinto persino l’Universita’ al Azhar, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita nel mondo a chiedere “la crocifissione e l’uccisione” degli uomini del califfato di Abu Bakr al Baghdadi.
Dal mondo arabo è giunta una condanna unanime. Anche il Qatar, paese più volte accusato da diversi attori regionali di aver contribuito – insieme ad Arabia Saudita e Kuwait – al rafforzamento dell’Isis attraverso fiumi di donazioni illegali, si è unito al coro attraverso una nota diffusa dal ministero degli Esteri.
Eppure in questi giorni il blog dello scrittore Raymond Ibrahim ha svelato un particolare interessante. Sembra che “Islam web”, un sito internet di proprietà del ministero degli Awqaf e degli affari islamici del Qatar, fino a qualche giorno fa presentasse tra i suoi link una fatwa, la numero 71480, pubblicata il 7 febbraio 2006, dal titolo titolo “Il rogo di Ias bin Abdul Yalil, da Abu Bakr“.
La “sentenza” definiva il rogo di esseri umani come una forma di punizione ammissibile dalla legge islamica. Tempo qualche ora dall’esecuzione del pilota giordano, però, ed è sparita dalla stessa piattaforma, presumibilmente rimossa dalle autorità qatariote. Perché?
Forse perché le due versioni, ovvero quella pubblicata quasi dieci anni fa da Islam web e quella diffusa dallo Stato Islamico nel giorno della condanna a morte di Moaz al-Kasasbeh sono identiche: vengono citate le stesse fonti coraniche, gli stessi hadith, tafsir e ripreso fedelmente il principio di “umiltà” tracciato nel documento diffuso dall’Isis, il che potrebbe suggerirci che al Baghdadi abbia preso in prestito proprio la fatwa promossa dalla monarchia di Doha per ordinare il crudele omicidio del suo ostaggio.
Ciò apre ulteriori dubbi sulle possibili implicazioni del Qatar in questa lunga guerra lanciata all’Occidente dallo Stato Islamico. Non è una novità che Doha non mostri oggi la benché minima riserva, né l’abbia mai mostrata in passato, a finanziare gruppi fondamentalisti sunniti impegnati a combattere con ogni mezzo il nemico sciita, ovvero qualsiasi alleato, reale o potenziale, di Teheran in Medio Oriente. Dal regime di Bashar Assad in Siria agli Hezbollah in Libano, fino agli sciiti in Iraq.
Il paradosso è che gli Usa, così come i suoi principali partner internazionali (Italia inclusa), continuano a considerare il Qatar come un proprio alleato mentre l’emirato oggi rappresenta una sorta di “habitat permissivo” per i terroristi. Per inciso, il sito “‘Islam Web” nel 2007 ha anche vinto il World Summit Award (WSA), vale a dire uno dei più grandi concorsi mondiali che – con la collaborazione delle Nazioni Unite – si occupa di selezionare i contenuti digitali più innovativi in circolazione e contribuire in questo modo alla costruzione di una vera società della conoscenza.
Il premio gli fu attribuito come “miglior sito web di edutainment (che significa trasmettere contenuti culturali sotto forma di divertimento o gioco, ndr) per bambini di lingua araba“, da una giuria di 160 Paesi. Che di quella fatwa numero 71480, evidentemente, proprio non si erano accorti.