Non c’è solo la rottura del patto del Nazareno a turbare i sonni di Silvio Berlusconi. Anzi: a occupare il primo posto nella lista delle preoccupazioni del leader di Forza Italia, politica a parte, è l’andamento delle imprese di famiglia. Dalla galassia Fininvest continuano infatti ad arrivare chiari segnali di difficoltà. A cui i capi azienda cercano di far fronte vendendo pezzi qua e là per fare cassa. E’ notizia di giovedì che la holding dell’ex Cavaliere ha collocato sul mercato il 7,79% del capitale di Mediaset attraverso una procedura di accelerated bookbuilding presso investitori istituzionali. La finanziaria, che detiene oggi il 41,28% del gruppo televisivo, scenderà così al 33,4 per cento incassando 377,2 milioni di euro contro il valore di mercato di 390 milioni. Una mossa dietro la quale potrebbe celarsi l’ennesimo stallo delle trattative con Telecom di cui si è parlato nelle scorse settimane.
Del resto la finanziaria di famiglia ha un disperato bisogno di ossigeno. I conti, a fine 2013, evidenziavano un rosso di 428,4 milioni dopo quello di 285 milioni di fine 2012. A zavorrare il bilancio, oltre alla sentenza sul Lodo Mondadori, anche svalutazioni e oneri di ristrutturazione. E, alla luce del buco, Fininvest aveva dato il via a una raffica di cessioni: dal 50% di Mediolanum assicurazioni per un corrispettivo di 22,2 milioni alla sede del Giornale in via Negri, di cui è stato liquidato il leasing, fino al golf club di Tolcinasco. Ma soprattutto il consiglio di amministrazione non aveva potuto fare altro che chiudere il rubinetto dei dividendi, lasciando a bocca asciutta l’ex premier e i cinque figli Barbara, Eleonora, Luigi, Marina e Pier Silvio. Del resto l’anno precedente per distribuire una cedola alla famiglia era stato necessario attingere “a utili portati a nuovo” negli anni più floridi, escamotage non più replicabile al secondo esercizio chiuso in perdita.
E quest’anno la situazione, per la dinastia di Arcore, appare solo destinata a peggiorare. Perché il flusso di denaro che in passato affluiva dalle controllate alla capogruppo si è arrestato e in alcuni casi addirittura invertito, considerato che, per esempio, l’un tempo fiorente business del calcio si è trasformato in un’emorragia di risorse. Secondo indiscrezioni, infatti, il Milan si prepara ad aggravare in modo drastico le perdite passando dai 15,7 milioni del 2013 a 60-70 milioni e avrà bisogno di un nuovo intervento di risanamento del bilancio da parte dell’azionista di maggioranza. Quanto a Mediaset, il polo televisivo ha chiuso i primi nove mesi del 2014 con un risultato netto negativo per 46,8 milioni (erano -27,3 al 30 settembre 2013) e non è scontato che quest’anno torni a distribuire distribuire dividendi ai soci dopo lo stop dell’anno scorso. Non è un caso se ad aprile ha ceduto il 25% di Ei Towers incassando 283 milioni mentre a luglio è stata la volta del 22% di Digital Plus (365 milioni di incasso) e dell’11,1% di Mediaset Premium, finite entrambe agli spagnoli di Telefonica. Non va meglio per la casa editrice Mondadori, che ha archiviato il periodo gennaio-settembre 2014 con una perdita di 7,5 milioni (rispetto ai -32,2 dello stesso periodo del 2013) e, oltre a portare avanti un piano draconiano di contenimento dei costi, a giugno si è rivolta al mercato per finanziarsi mettendo in vendita il 12% del capitale.
In questo panorama disastrato le uniche soddisfazioni arrivano da Mediolanum, che mercoledì ha comunicato di aver chiuso i conti 2014 con un utile netto di 320,6 milioni di euro, comunque in calo del 5% rispetto al risultato 2013. Peccato però che proprio la quota detenuta da Fininvest nella rete di bancassicurazione sia destinata a ridimensionarsi in modo drastico: lo scorso ottobre la Banca d’Italia ha deciso che in seguito alla condanna di Berlusconi per frode fiscale nel processo sui diritti tv – che comporta la perdita dei “requisiti di onorabilità” richiesti agli azionisti delle società finanziarie – la sua holding non potà detenere più del 9,9% nel gruppo. E deve quindi cederne quasi il 25%, visto che ora ne ha in pancia il 35,13 per cento. Un sacrificio talmente pesante che all’inizio di gennaio, dopo che il cda Fininvest ha dato il via libera al trasferimento di una fetta di azioni della banca guidata da Ennio Doris in un trust, gli avvocati dell’ex Cavaliere hanno presentato ricorso chiedendo che l’obbligo venga annullato. Il Tar del Lazio si pronuncerà sulla questione ad aprile. All’ex Cavaliere non resta che sperare nei giudici amministrativi: dopo l’elezione del capo dello Stato e la rottura con il premier Matteo Renzi sembra improbabile che nella nuova versione del decreto fiscale salito agli onori delle cronache proprio come “salva Berlusconi” resti la previsione di non punibilità dell’evasione fiscale se le somme sottratte al fisco non superano il 3% dell’imponibile dichiarato. Un colpo di spugna che avrebbe consentito al leader di Fi di chiedere al giudice di far decadere la sentenza che lo condannava, facendo così venire meno non solo la decadenza da senatore ma anche l’onta della “disonorabilità”. E con essa la necessità di rinunciare alla gallina dalle uova d’oro Mediolanum.