Finale Emilia è una cittadina di 15mila abitanti e ci si conosce quasi tutti. Il giornalaio con il panettiere, il dottore con l’impiegata, l’operaio con l’insegnante. I figli frequentano l’oratorio, le mamme si vedono in Chiesa la domenica. Il bimbo più piccolo gioca a calcio con il nipote del vicino. I papà si trovano per il calcetto la sera. Poi ci sono le feste in piazza, le recite a scuola e l’attesa alla fermata della corriera per andare in centro a Modena. In un comune di 15mila abitanti ci sono le voci, i pettegolezzi e le informazioni che diventano titoli e poi fatti raccontati al bar la mattina prima di andare al lavoro.
Il sindaco di Finale Emilia, Fernando Ferioli, guida una giunta di 5 persone e un consiglio comunale di 16. Probabilmente conosce quasi tutti i 15mila abitanti del suo paese, o almeno le facce, quelle le sa riconoscere. Il 28 gennaio hanno arrestato il responsabile dei lavori pubblici del comune. Un’ordinanza del gip ha detto che una ditta, la Bianchini Costruzioni, da una parte aveva rapporti con Michele Bolognino, considerato dai magistrati uno dei capi della organizzazione della ‘ndrangheta emiliana, dall’altra aveva rapporti di “tipo clientelare” con l’amministrazione comunale. Il giudice anzi è più preciso: Bianchini non soltanto “ha intrattenuto consapevolmente stretti rapporti con affiliati della cellula criminale ‘ndranghetista”, ma gode di “ottime relazioni” con l’amministrazione finalese, “in prima persona con il sindaco Fernando Ferioli”. La stessa ditta, secondo il gip, ha portato materiale contaminato dall’amianto nei cantieri delle scuole costruite dopo il sisma. E per quegli stessi lavori ha assoldato manodopera che gli ha portato Bolognino. L’assessore comunale ai lavori pubblici Angelo D’Aiello, uno che Ferioli ha scelto e voluto nella sua giunta, è stato intercettato mentre in macchina con il signor Bianchini diceva: “Nessuno si metterà di traverso”.
Il sindaco, l’assessore, la giunta comunale del comune di 15mila abitanti: nessuno sapeva nulla e nessuno si è mai messo di traverso. E nessuno è indagato. Il radicamento della mafia in Emilia loro non l’hanno visto. Sono puliti, dicono i giudici. “Perché dovrei lasciare?”, ha detto Ferioli ai cittadini in consiglio comunale venuti a chiedere le sue dimissioni.
Il sindaco c’era, ma non sapeva. E questo basta perché il giorno dopo la più grande inchiesta che ha rivelato la presenza della ’ndrangheta in Regione, il primo cittadino chieda scusa e torni a casa. L’Emilia distrutta dal terremoto, quella della sinistra appassita e degli scandali continui, ha bisogno di amministratori che vedono e che sanno dove andare a vedere. Di politici che ascoltano e che sanno dare un peso alle parole. Non servono sottosegretari alla presidenza del Consiglio, che furono sindaci, che non sanno che il boss Grande Aracri è nato a Cutro. Non servono primi cittadini che dicono che il fratello del boss, è in fin dei conti una brava persona. Non servono ex presidenti della Provincia che scoppiano a piangere davanti ai pm per la loro povera terra malata. Servono politici vigili che sanno essere delegati di una cittadinanza che chiede competenza e protezione.
Il giorno dei 117 arresti per ‘ndrangheta la classe dirigente di un’intera Emilia crivellata di colpi ha parlato di una nuova resistenza: “Ora rinasciamo e combattiamo contro la criminalità”. Ora noi ci rimbocchiamo le maniche, ancora una volta, e ripartiamo. Voi che c’eravate e non avete visto (o non avete voluto vedere), con rispetto, fate un passo indietro.