Dal 2017 una Yaris WRC si sporcherà di fango e neve nel Campionato Mondiale Rally, andando a sfidare gli acerrimi rivali di Volkswagen. Ma nessuno sa dire quanto l’impegno nel motorsport porti vantaggi reali alle case automobilistiche. Citroën, Lancia, Mitsubishi e Subaru se lo stanno ancora chiedendo
“Win on Sunday, sell on Monday” in italiano non suona così bene ma il significato è chiaro. Vinci la domenica e vendi il lunedì. Uno slogan talmente vecchio che la sua origine si perde negli anni del dopoguerra. Che sia nato negli Stati Uniti, quando le stock car si potevano comprare nei dealer vicino ai circuiti, oppure in Inghilterra, con le motociclette Triumph o BSA che facevano impazzire gli appassionati, poco importa, perché negli anni ha perso molto senso.
Il motivo è semplice: i prezzi delle auto da corsa crescono in modo inversamente proporzionale alla polarità del motorsport. Se negli anni Settanta ci si poteva iscrivere a un rally qualunque con la propria auto, dotandola di un paio di accessori, oggi la più lenta delle vetture preparate costa almeno dieci volte tanto rispetto al modello di serie corrispondente. Una follia. E nelle moto non va molto meglio. Posto che una supersportiva stock viaggia sui 20.000 euro, per partecipare a un weekend di gare per “derivate di serie” ce ne vogliono almeno altrettanti. Con queste distanze abissali tra motorsport e comuni mortali sono abissali e il calo verticale della passione, che senso ha per una casa automobilistica investire nelle gare? Che seguito hanno il WRC e il WTCC?
Se non sapete a cosa si riferiscono queste sigle, il che è molto probabile, vi siete già risposti. Sono rispettivamente il Campionato Mondiale Rally e il Campionato Mondiale Superturismo, entrambi riservati a vetture stradali opportunamente preparate per competere su superfici diverse, nel primo caso e su pista, nel secondo. E a scorrere gli albi d’oro dei rally e del turismo, sembra che la proporzione inversa colpisca ancora. Nove anni di dominio assoluto (2004-2012) con Sébastien Loeb (nella foto sopra) non hanno certo portato Citroën in vetta al mercato, mentre le specialiste giapponesi Mitsubishi e Subaru sono quasi scomparse dai radar. Al contrario, chi può scollegare con certezza il successo commerciale della Peugeot 206 con le sue tre vittorie mondiali? Sulla Lancia, invece, meglio soprassedere, visto che sei titoli consecutivi della Delta Integrale (qui sotto) non sono serviti a fermare la sua lenta agonia, per non parlare della Chevrolet, che dopo aver dominato le ultime edizioni del WTCC ha deciso di ritirarsi dal mercato europeo.
Ciononostante, qualcuno crede ancora nel motorsport. Il gruppo Volkswagen, per esempio, che con la Polo R WRC (nella foto sotto) sta cercando la sua terza affermazione consecutiva, oppure Hyundai, impegnata a rendere competitivi la i20 WRC (foto in apertura) e il neonato team che la gestisce. Anche Toyota ha annunciato il suo rientro nel 2017 con una inedita Yaris WRC e Citroën ha rimesso Loeb al volante della DS3 WRC per la stagione 2015.
Che vantaggi reali potranno trarre da una competizione che costa centinaia di milioni di euro e prevede 13 tappe in giro per il mondo? Sicuramente di immagine, soprattutto in quelle aree dove la passione per le auto è tutta da costruire, come l’Asia, dove infatti la copertura televisiva del WRC è pressoché totale: Bangladesh, Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Malesia, Nepal, Pakistan e Tailandia. È curioso che tutti questi Paesi abbiano acquisito i diritti del Mondiale Rally, mentre in Europa gli unici che hanno fatto altrettanto sono Francia e Scandinavia, cioè i luoghi di provenienza dei piloti di punta.
Nei mercati “maturi”, invece, come Europa e USA, l’influenza del motorsport sui comportamenti d’acquisto è sicuramente più limitata, anche se ci potrebbe essere un effetto “cascata”. Secondo Foresight Research, infatti, gli appassionati di auto e di gare diventano dei punti di riferimento per tutti gli altri acquirenti e danno almeno 25 consigli di acquisto ogni anno ad amici o parenti.