Dopo la chiusura dell’indagine il 14 gennaio la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex numero uno di Eni Paolo Scaroni e di altre sette manager del gruppo petrolifero, per la vicenda della presunta maxi tangente algerina: circa 198 milioni di dollari, è l’ipotesi, che sarebbero stati versati dalla controllata di Eni all’allora ministro dell’energia dell’Algeria Chekib Khelil e al suo entourage per ottenere sette appalti petroliferi del valore di “oltre 8 miliardi di euro”.
L’inchiesta, coordinata dai pm di Milano Fabio De Pasquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio, riguarda in particolare l’ex direttore operativo di Saipem, Pietro Varone (arrestato nell’estate del 2013), l’ex presidente di Saipem Algeria Tullio Orsi, l’ex direttore finanziario prima di Saipem e poi di Eni, Alessandro Bernini, l’ex presidente ed ex ad di Saipem, Pietro Tali, l’ex responsabile Eni per il Nord-Africa Antonio Vella, e poi Farid Noureddine Bedjaoui, il fiduciario di Khelil ritenuto l’intermediario tra i pubblici ufficiali in Algeria e i manager della controllata di Eni, con cui secondo Varone Scaroni avrebbe avuto due incontri. E, infine, Samyr Ouraied, uomo di fiducia dello stesso Bedjaoui. Indagate, in qualità di persone giuridiche, Eni e Saipem.
Il reato ipotizzato è concorso in corruzione internazionale al quale si è aggiunto, a quanto si è appreso di recente per Scaroni, Varone, Bernini, Tali, Bedjaoui e Ouraied, la dichiarazione fraudolenta dei redditi mediante altri artifizi (articolo 5 del decreto legislativo 74/2000), e cioè per mezzo di false fatturazioni e falso impianto contabile. I fatti, su cui la Procura ha raccolto tra l’altro le carte di rogatorie in Libano, Algeria, Svizzera, Lussemburgo e Hong-Kong, sarebbero avvenuti tra il 2007 fino almeno al 2010.
Secondo l’ipotesi accusatoria, allo scopo di far ottenere a Saipem, da parte dell’ente di Stato algerino Sonatrach, sette appalti da 8 miliardi di euro nel Paese nordafricano, sarebbero state pagate commissioni complessive per 198 milioni di euro alla Pearl Partners Limited, società riconducibile a Bedjaoui, oltre a ingenti somme di denaro ai gruppi Ogec e Lead (sub contractors) a titolo di pagamento di prestazioni contrattuali gonfiate per il successivo smistamento delle maggiorazioni a fini corruttivi. Queste operazioni avrebbero avuto come fine quello di far arrivare somme a beneficio del ministro Khelil, della sua famiglia e del suo entourage.
La nuova contestazione di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici consiste nell’inserimento nelle scritture contabili obbligatorie di elementi attivi inferiori alla realtà o elementi passivi fittizi. Nel dettaglio, si tratta di chi falsa le scritture contabili con mezzi diversi dalle fatture per operazioni inesistenti, come le sovrafatturazioni.
I vertici di Saipem “non hanno mai versato nessuna tangente al ministro dell’Energia algerino, Chekib Khelil, per far aggiudicare alla partecipata dell’Eni commesse petrolifere del valore complessivo di 8 miliardi” sottolineano in una nota gli avvocati Roberto Pisano e Giuseppe Staiano, difensori di Farid Noureddine Bedjaoui, una delle 8 persone finite sotto indagine a Milano con l’accusa di corruzione internazionale. “Bedjaoui, il consulente franco algerino – spiegano i due difensori – aveva un rapporto con la Saipem fondato su contratti di consulenza perfettamente trasparenti. Saipem si è aggiudicata 7 appalti in Algeria, rispetto agli oltre 20 a cui aveva partecipato, perché la sua offerta è risultata essere quella al prezzo più basso ed è stata tecnicamente la più qualificata, vale a dire in assoluto la più vantaggiosa per l’ente appaltante algerino Sonatrach, e ciò è avvenuto in modo del tutto trasparente, essendo i bandi aggiudicati con gara d’appalto pubblica, in cui l’apertura delle buste è avvenuta alla presenza di televisioni e stampa”. “Questi elementi – concludono i legali – hanno trovato conferma durante l’incidente probatorio nel quale i coindagati Pietro Varone e Tullio Orsi, rispettivamente chief operating officer di Saipem e amministratore delegato di Saipem Algeria, sono stati esaminati dalla procura, dal giudice delle indagini preliminari e dai difensori”.