Più che una cioccolateria sembra un salotto buono dalle frequentazioni meneghine giuste. A sentire poi discettare Vincenzo Ferrieri, 30 anni, famiglia napoletana, tradizione di maestri cioccolatieri, imprenditore di stampo bocconiano e un’idea che tanto sarebbe piaciuta al Willy Wonka dello hollywoodiano “Fabbrica di Cioccolata”, si rimane a bocca aperta. Anche perché alle sue spalle scorre una fontana di nettare alta tre metri nella quale affondi subito gli occhi. Siamo nella boutique di ‘Cioccolatitaliani’ (due parole fuse in una) alle spalle del Duomo dove fiumi di parole scorrono sul ‘Kakaw uhanal’, il cibo degli dei. Sua Maestà il Cioccolato, così lo venerava la popolazione Maya. “La leggenda fa risalire a loro l’origine del consumo dei semi di cacao – spiega Vincenzo, amministratore delegato del brand – mentre nella letteratura troviamo tracce di cacao in Goethe, Alessandro Manzoni, Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia“.
“Sa che la tavoletta più lunga del mondo, realizzata con fondente al 63% nel 2011 a Bologna, è entrata nel Guinness dei primati: 15,9 metri per 2,3 metri – mi fa Vincenzo- E non è tutto. Se crede che il cioccolato sia solo un alimento? Sbagliato. Si sta sperimentando un biodisel ricavato dal cioccolato”. E già nel ‘700 un tale poeta Zucchi Olivetani ne elogiava la squisitezza: “Mescolando il cacao in acqua calda si otterrà una bevanda squisita. Le chicchere di maiolica trasparente sono i recipienti più adatti per servirla. Utile alla mente, tonifica il muscolo cardiaco e dolcifica i succhi gastrici; ha provate doti sedative, stimola gli umori e possiede poteri afrodisiaci”. Oggi, 300 anni dopo, possiamo scrivere che ciò che prima era frutto di intuizione ora ha trovato conferma scientifica: la presenza di flavonolo assicura notevoli proprietà ossidanti, è un antidepressivo, soprattutto quello fondente (e di questi tempi ce n’è bisogno) fa bene al cuore e alle arterie e abbassare il colesterolo.
Scatole, scatolette, scatoline, nuove profumazioni, alla lavanda, ai fleurs d’oranger, ai sali rosa dell’Himalaya, sculture di cioccolato e fondute che scatenano i sensi, un sollucchero di emozioni. E per San Valentino fanno scoccare la scintilla del bacio. Se ti fai fotografare con uno qualsiasi – e non ci sono distinzioni di campo, amici, conoscenti, cani, gatti o parenti – questo posto delle meraviglie ti offre pure una “fondue al cioccolato”. Gratis.
Ecco un brand di nicchia che reagisce alla crisi. Con dolcezza. Anzi la crisi aguzza l’ingegno e in pochissimi anni è avvenuta la trasformazione da impresa familiare a progetto global. Oggi Cioccolatitaliani ha un giro d’affari di 13 milioni di euro, 260 dipendenti e 12 store. Fa venire l’acqualino in bocca a Expo e con Leonardo di Carlo, campione del mondo di alta pasticceria, ha realizzato una capsule collection di monoporzioni, golosità in barattolo, una sorta di food pret à porter. “Ma adesso puntiamo all’estero”, conclude Vincenzo. E si guarda a Est perché nel 2015 arriveranno altri 8 punti vendita. Dagli Emirati Arabi alla Corea del Sud, passando per Dubai. Si baci, chi può.
Altro palato goloso è stato Ernest Hemingway che su consiglio del suo editore Arnoldo Mondadori andava alla confetteria Arione di Cuneo lasciandosi tentare dai cuneesi al rum, cioccolatini di cialde di meringa con crema pasticciera e ricoperti da cioccolato fondente. “Se passi da Cuneo, fermati a comprarne un po’”, gli aveva detto. Un giorno uscì dalla pasticceria con un pacco da un chilo e mezzo di cioccolatini. Solo per lui.
Twitter @januariapiromal